lunedì 30 settembre 2013

STOP! (AND GO?)



Il governo Letta è in crisi, una crisi sostanziale ancorchè non formale, dal momento che il premier non andrà in parlamento dimissionario, né allo stato risultato accettate le dimissioni dei 5 ministri pdl, che però sono irrevocabili.
Mercoledì (alla Camera) e Giovedì (al Senato) ci sarà il confronto in parlamento e a quest’ultimo spetterà di pronunciarsi con il voto sulla sorte del governo. Al momento, e a quanto si legge sui giornali, ogni risultato è aperto, ed ogni risultato sarà in gran parte determinato dalla partita che si gioca all’interno del Pdl.
Se il Pdl rimane unito al Senato allora Letta è al capolinea, salvo che non conceda l’impossibile a Berlusconi per consentirgli di giustificare una sua eventuale marcia indietro sulla rottura determinata sabato.  Se il Pdl perde pezzi allora la storia cambia e Letta, magari con un bis, può proseguire e durare.
La partita si gioca dunque in quella terra di mezzo che conduce dal Pdl a Forza Italia ed è complicata da un Berlusconi giunto oggettivamente al capolinea della sua parabola politica e che, come tale, per alcuni offre meno garanzie. Incertezza per incertezza c’è chi potrebbe ritenere più praticabile giocarsi le proprie carte nel dar vita ad un partito del Ppe italiano. Vedremo.
Che tutto ruoti intorno al punto di rottura del Pdl lo si capisce dalla parole di Letta, che ipotizzando uno scenario fino al 2015 vuole garantire il più possibile coloro che nel Pdl hanno messo la valigia sul letto, ma non l’hanno ancora riempita.
Proprio in queste ore è emersa una prima novità in merito al timing parlamentare annunciato. Letta si presenterà in parlamento Mercoledì, sia alla Camera che al Senato, partendo proprio da Palazzo Madama in mattinata. Il voto parlamentare è probabile ma non è scontato, come riferisce il Ministri Franceschini all'uscita dalla capi gruppo odierna alla Camera. Dipenderà dalle mozioni che verranno presentate e dal dibattito svolto. Segno che non si esclude una salita al colle senza che vi sia stato un voto di sfiducia.
Al momento la prospettiva più lontana è uno scioglimento delle Camere immediato, perché se Letta non ce la dovesse fare, allora come noto Napolitano proverebbe a dar vita ad un governo di scopo, ed in questo caso non si escluderebbero i voti di Sel e di una eventuale parte di M5S.
Quello che appare più probabile, anche alla luce dei precedenti, è una sospensione dei lavori parlamentari fino a mercoledì (forse si svolgeranno le discussioni generali previste per oggi alla Camera), anche per evitare inevitabili incidenti di percorso.  

venerdì 27 settembre 2013

LETTERA APERTA SULLE PROVINCE ALL'ON. CENTEMERO



Gentilissima On. Centemero, dopo aver letto la sua risentita precisazione inviata al quotidiano Libero e oggi pubblicata su quel giornale, ci sentiamo di replicare alla sua lettera con delle contro precisazioni, poiché il tema del pezzo di Libero che ha scatenato il suo risentimento è lo stesso del nostro post precedente, ovvero l’abrogazione dell’articolo 12 del decreto legge sul femminicidio, relativo al commissariamento delle Province.
Innanzi tutto premettiamo di apprezzarla molto perché Ella è una deputata estremamente preparata, e questo blog apprezza i deputati preparati al di là dell’appartenenza ad un gruppo politico. Proprio per questo ci sentiamo in dovere di replicare alle sue argomentazioni.
Ella chiama in causa, quasi a giustificare il suo emendamento soppressivo all’articolo 12, l’eterogeneità del decreto. Ha ragione. Il decreto nei primi 5 articoli parla organicamente di femminicidio, quindi detta una serie di disposizioni disparate e slegate tra loro. La prima obiezione che le muoviamo è di merito. Perché a fronte dell’eterogeneità degli articoli dal 6 al 12, alcuni dei quali lei cita espressamente, ha presentato un soppressivo solo sul 12, e non anche su ciascuno degli altri articoli? La seconda obiezione è più generale. Il tema dell’eccessiva eterogeneità dei decreti è stato sollevato costantemente, e soprattutto in prima commissione dal M5S. In questo senso il decreto del Fare era un mostro di eterogeneità (basti dire che vi era inserita anche una riforma sistemica della giustizia civile che la commissione II non ha potuto esaminare in referente). Il Presidente Sisto ha sempre risposto con sufficienza alle rimostranze dei pittoreschi e non sempre puntuali grillini. In quelle occasioni non abbiamo sentito la sua voce e non abbiamo letto suoi emendamenti contro l’eccesiva eterogeneità del contenuto dei decreti.
Altro tema che lei porta a precisazione, contro una presunta volontà di far saltare la riforma delle Province, riguarda il ddl del governo in tema di province, che dalla settimana prossima inizierà il suo iter in commissione affari costituzionali. Ella, onorevole Centemero, è troppo valente e accorta per non cogliere la differenza tra l’articolo 12 del decreto, che è già legge e produrrà i suoi effetti fino a giugno 2014, e il disegno di legge governativo (stiamo parlando di quello ordinario 1542 e non di quello di riforma costituzionale 1543), che ad oggi è un pezzo di carta e lo rimarrà finchè non sarà approvato definitivamente (se mai lo sarà).
Infine Ella rivendica l’appartenenza all’Intergruppo sulle città metropolitane, ma esiste anche un ben più nutrito intergruppo sulle province, alle quali il Presidente Saitta ha già fatto appello in un ANSA di ieri delle 15,31.
Infine gentile Onorevole in tutta la sua precisazione lei omette, fatto salvo il cenno all’eterogeneità che però non tiene per i motivi di cui sopra, di spiegare il senso del suo emendamento soppressivo. Lei una cosa deve giustamente rivendicare, che evidentemente non si tratta di una sua iniziativa personale, ma questo né noi, né Libero l’hanno mai ventilato. E’ evidente che si tratta di un’iniziativa che impegna il suo gruppo, così come è di gruppo il soppressivo del Pd, che evidentemente ritiene di dover porre termine alla diatriba sull’abolizione delle province.
Nel chiudere questa nostra ci consenta, essendo Ella per il momento parlamentare di maggioranza, di citare il premier Letta dicendole che in tema di province “Mica c’abbiamo scritto Joe Condor”

mercoledì 25 settembre 2013

L'ABOLIZIONE DELLE PRONVICE FINISCE VITTIMA DI FEMMINICIDIO



Chi avrebbe mai immaginato che la tanto attesa abolizione delle province rischia seriamente di finire vittima del femminicidio? Al di là delle battute che la riforma delle province salti definitivamente è un’ipotesi più che probabile e l’operazione si può compiere tra poche ore all’interno del decreto legge 93, quello sul femminicidio. In quel provvedimento c’è un articolo, il 12, che proroga fino a giugno 2014 i commissariamenti effettuati dal governo Monti e ne dispone di nuovi per le amministrazioni provinciali che andranno a scadenza da qui a giugno 2014. Il governo, come spiega nella stessa relazione al decreto, è stato costretto a varare questa norma per evitare che, a seguito della bocciatura operata dalla Consulta delle norme varate dal governo Monti in tema di riforma delle province, una ventina di queste tornasse al voto alla prima finestra elettorale utile.
Inutile dire che, in questo caso l’abolizione delle province verrebbe di fatto archiviata, perché nel migliore dei casi si dovrebbe aspettare altri 5 anni dal momento che sarebbe impensabile sciogliere e abolire un’amministrazione democraticamente eletta dal voto dei cittadini. A fronte di ciò desta grande sorpresa che tra gli oltre 400 emendamenti presentati in commissione affari costituzionali al Dl sul femminicidio, tutti i gruppi, tranne M5S e Scelta Civica, abbiano presentato un emendamento soppressivo dell’articolo 12, Pd e Pdl compresi. Questo significa che se tale soppressione sarà a approvata, e a questo punto ci sono tutti i presupposti, i partiti hanno finalmente colto la tanto sospirata occasione per salvare le province.
Se per farlo ci sarà bisogno di sconfessare doppiamente il governo, stracciandogli di netto un articolo del decreto e facendo carta straccia della riforma costituzionale per la quale Franceschini ha chiesto l’urgenza, pazienza. Un presidente di provincia ed una giunta valgon bene un ceffone al governo.

domenica 22 settembre 2013

SULLA DISMISSIONE DEI PALAZZI MARINI DARE A COLUCCI QUELLO CHE E' DI COLUCCI




Sul corriere della sera di oggi, a firma di Dino Martirano, c’è un pezzo molto interessante sulle dismissioni da parte della Camera dei così detti Palazzi Marini, le sedi dove i deputati hanno un loro ufficio e per i quali la Camera dei deputati paga un affitto al proprietario degli immobili, la società Milano 90.
L’articolo merita qualche precisazione perché dalla sua lettura, chi non conosce i fatti, potrebbe ritenere che la decisione di dismettere quei contratti di locazione sia stata adottata nel corso dell’attuale legislatura dal Collegio dei questori.
Ovviamente non è così e il dato non è secondario. La decisione di rinunciare a far data dal 1 gennaio 2012, tramite disdetta anticipata, al Palazzo Marini 1, e successivamente di non rinnovare i contratti per gli altri tre che sarebbero venuti a scadenza entro il 2018 e per i quali non era previsto il recesso anticipato, è stata proposta dal Collegio dei Questori ed approvata dall’Ufficio di Presidenza nella scorsa legislatura, e per la precisione nella seduta dell’Udp del 15 settembre 2010.  
Ovviamente se la sostanza non cambia (ovvero la Camera rinuncia al costo di onerosi affitti) la questione è rilevante da un punto di vista storico e politico per stabilire chi furono i protagonisti materiali di questa importante decisione. In realtà come si evince dai verbali delle sedute dell’udp del 15 settembre 2010 e da quella del 30 marzo 2011, nella decisione furono coinvolti pure i gruppi parlamentari di allora, tramite i presidenti di gruppo, proprio perché i questori erano consapevoli dell’impatto che la scelta avrebbe avuto sul funzionamento futuro dell’istituzione e, come si dice, volevano evitare di rimanere scoperti sul lato politico.
Questo aspetto non si evince molto chiaramente dal pezzo di Martirano che, probabilmente, essendo stato ispirato da uno degli attuali questori o dal collegio intero, (anche perché il bollettino degli organi collegiali di settembre non è ancora pubblicato sul sito della Camera e dunque le informazioni in merito alla seduta di settembre scorso possono giungere solo per via diretta da un membro dell’udp o dagli uffici) tende ad essere influenzato in tal senso nell’attribuire i meriti di alcune scelte.
In realtà nel pezzo ci sono notizie nuove e interessanti, come la proposta ulteriore avanzata da Milano 90 alla Camera, quella di rinunciare alla dismissione dei tre Marini rimasti quando i contratti sarebbero venuti a scadenza  ed in cambio concessione gratuita del palazzo Marini 1 già dismesso. Su questo aspetto la scelta di respingere la proposta è tutta ovviamente da ascriversi all’attuale collegio dei questori, ed anche in via definitiva all’Ufficio di Presidenza. Il punto, però resta, e consiste nel fatto che chi ha assunto un importante decisione che consentirà milioni di risparmio alla Camera, furono questori, ufficio di presidenza, ma anche presidenti di gruppo nella scorsa legislatura, e almeno questo riteniamo gli debba essere riconosciuto con chiarezza.

venerdì 20 settembre 2013

FIANO PRESENTA UNA PROPOSTA DI LEGGE GIUSTA MA SCIOVOLOSA


Non si sono ancora placati gli echi delle polemiche relativE alla legge sull'omofobia che alla Camera, anche se in commissione affari costituzionali, sta per partire l'iter di una nuova proposta di legge che potrebbe suscitare ulteriori polemiche.
L'ufficio di presidenza della I commissione ha deliberato che dalla settimana prossima prenderà il via l'esame della proposta di legge 1246 a firma Fiano e altri in materia di inammissibilità delle liste elettorali che si richiamino all'ideologia fascista ol disciolto partito fascista.
L'intento è ovviamente ottimo e condivisibile, perchè si vuole anche rendere effettiva la disposizione transitoria presente nella Costituzione che vieta la ricostituzione del Partito fascista.
Se si legge l'articolato della proposta, però, qualche perplessità viene, ed è prevedibile, considerato il tema, che non manchino polemiche.
Facciamo alcuni esempi. La proposta di legge propone di non ammettere la presentazione di liste con simboli che riproducano quelli fascisti o che si richiamano all'ideologia fascista. E fin qui nessun problema. Qualche problema potrebbe nascere quando si afferma che anche gli acronimi che si richiamino ai valori o all'ideologia fascista possano essere oggeto di esclusione. Che succederebbe alla luce di questa disposizione ad un partito che si chiamasse Partito Federalista Repubblicano (Acronimo PFR come il partito fascista repubblicano) o Popolo Nazione e Fede (PNF come Partito Nazionale Fascista)?
Ancora più problemi sembra destinata a creare la disposizione che prevede l'esclusione di liste che fanno riferimenti a gruppi che "...denigrano la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza". Che significa denigrare le istituzioni? Vuol dire che chi rivolge insulti nei confronti del parlamento, della corte costituzionale, della magistratura, e ne fa temi di propaganda elettorale non si potrà candidare alle elezioni? Ancora più scivoloso il concetto di denigrazione dei valori della Resistenza, perchè come è ormai acquisito da parte della storiografia non ci fu un'unica resistenza ma ve ne furono almeno tre in una.
Principi e intenzioni giuste che, però, all'atto pratico rischiano di creare problemi, anche perchè a decidere l'esclusione di un partito o un movimento politico dovrebbero essere dei funzionari dell'ufficio elettorale del Viminale.
Ancora una volta si torna al tema dell'articolo 49 della costituzione, perchè se ci si vuole avventurare sul terreno scosceso del giudizio di democraticità di una formazione politica, allora questo dovrebbe avvenire ai massimi livelli come in Germania, dove è la corte costituzionale a stabilire se una formazione è democratica o meno. Affidare simili decisioni a funzionari d'ufficio, mal si accorda con gli intenti lodevoli della proposta.  

mercoledì 18 settembre 2013

PERCHE M5S HA CHIESTO LE DIMISSIONI DELLA BOLDRINI



La richiesta di dimissioni avanzata da parte del Movimento 5 stelle nei confronti della Presidente della Camera Laura Boldrini ha suscitato scalpore sia nell’aula che nelle dichiarazioni sulle agenzie di stampa. Nel profluvio di interventi piccati e risentiti (ed in alcuni casi un po’ pelosi) si è perso di vista l’oggetto del contendere, quasi che il deputato del Movimento 5 Stelle all’improvviso fosse uscito pazzo e avesse chiesto alla Boldrini di andarsene.
Le cose non stanno così e il deputato Iannuzzi ha motivato la sua richiesta all’interno di un richiamo al regolamento, e per la precisione in riferimento all’articolo 8 che stabilisce che al Presidente spetti di assicurare il buon andamento dei lavori a norma di regolamento.
Iannuzzi ha fatto riferimento all’episodio verificatosi poco prima nel quale la Presidente aveva dato la parola ad un oratore contro e ad uno a favore in merito alla richiesta di aggiornamento dell’aula sul ddl omofobia. Contro questa proposta è intervenuto per il Cinque Stelle Riccardo Nuti. La Presidente Boldrini, invece di dare la parola all’oratore a favore, come previsto dal regolamento, ha commentato nel merito la posizione espressa da Nuti, dicendo “Onorevole Nuti, l'Assemblea ha deciso e nella casa della buona politica è l'Assemblea che decide”, e dunque ha preso una posizione in un dibattito che lei avrebbe dovuto invece arbitrare.
Svolta la votazione che ha sancito la sospensione dei lavori, il deputato Iannuzzi le ha fatto notare semplicemente questa scorrettezza, motivando dunque la richiesta di dimissioni alla luce del suo mancato rispetto del regolamento proprio in merito all’obbligo di imparzialità nella conduzione dei lavori.
Richiesta certamente forte che si può anche non condividere, ma non la si può considerare né sconclusionata, né tanto meno un atto del quale scandalizzarsi o dichiararsi offesi. Stupisce in particolare che al coro delle critiche si sia aggiunto il Pdl, con Simone Baldelli, visto che nella scorsa legislatura a chiesto più volte, anche con il proprio capogruppo di allora, le dimissioni dell’allora presidente Fini, e non per motivazioni regolamentari, ma politiche.

Di seguito si riporta il testo dell'intervento di Iannuzzi

CRISTIAN IANNUZZI. Signor Presidente, intervengo sull'articolo 8 del Regolamento e sul suo ruolo. Mi perdoni, ma se lei dà la parola ad un deputato a favore e ad un deputato contro su una votazione e, poi, interviene dopo il parere del deputato ed esprime una sua opinione, un suo punto di vista, lei sta influenzando l'Aula (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Allora, visto che il suo ruolo dovrebbe essere
super partes qui dentro, perché è stata votata trasversalmente da tutti i gruppi e perché rappresenta tutta l'Aula, la pregherei, la pregheremmo di astenersi almeno in questi casi – in tutti i casi, ma almeno in questi casi – dall'esprimere la sua opinione e dal commentare la posizione di un deputato a favore o di un deputato contro su una votazione. Altrimenti, se lei non si sente in grado di rappresentare quest'Aula in modo imparziale, è meglio che si dimetta, così entrerà qualcuno, forse, un po’ più imparziale di lei (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Commenti dei deputati del gruppo Sinistra Ecologia Libertà).