giovedì 27 febbraio 2014

SANZIONI DIFFERITE E A SCAGLIONI LE PITTORESCHE INNOVAZIONI DELL'UDP



Le sanzioni irrogate dall’ufficio di presidenza della Camera a seguito delle vicende verificatesi in aula il 29 gennaio scorso, ed anche a seguito di altri episodi verificatisi in alcune commissioni e nella sala stampa della Camera nei giorni immediatamente successivi, sollecitano diverse riflessioni. In particolare, però, recano alcuni elementi di assoluta novità rispetto alla prassi consolidata in tema di modalità di irrogazione della sanzione e della sua decorrenza.
La prima e più rilevante di queste novità riguarda la decorrenza differita nel tempo della sanzione irrogata. Fino ad oggi, dopo che la sanzione era stata deliberata in sede di ufficio di presidenza, questa aveva decorrenza immediata dal momento della sua comunicazione all’aula. Oggi invece, il presidente di turno Baldelli, nel comunicare all’aula le decisioni assunte ha specificato che tutte le sanzioni disciplinari adottate “in ragione dei lavori parlamentari previsti” sarebbero decorse dal 10 marzo.
Dunque l’ufficio di presidenza ha applicato un criterio politico all’applicazione di una sanzione disciplinare, anche per vicende molto gravi, visto che molti sono i deputati che sono stati puniti con il massimo della sanzione. Poiché la prossima settimana si vota la legge elettorale e i deputati sono sanzionati sono tutti, tranne uno, dell’opposizione, si è ritenuto di differire la decorrenza della sanzione con il fine di evitare polemiche e strumentalizzazioni politiche. Ovviamente tale decisione, poiché non è stato specificato il contrario, costituisce un precedente che potrà valere anche in futuro. Il problema sarà individuare il metro con cui stabilire l’importanza politica di un provvedimento tale da giustificare il differimento di una sanzione. Un decreto controverso è meno importante di una legge elettorale? E l’esame di un provvedimento in materia di giustizia o su uno dei così detti temi etici?
Inoltre, anche se è evidente che si sia arrivati a tale decisione a fronte del gran numero di sanzioni irrogate a deputati di uno stesso gruppo (31 deputati M5S), poiché nulla si è detto su questo aspetto è da ritenersi, almeno fino a quando i resoconti dell’udp saranno disponibili, che il differimento delle sanzioni non ha tenuto conto del numero dei deputati sanzionati, ma solo dell’importanza del tema all’ordine del giorno dei lavori parlamentari. Dunque, in ipotesi, a questo criterio si potrebbe appellare anche un solo deputato che in futuro fosse sanzionato per chiedere il differimento della sua sanzione.
L’altra novità prodotta dalle decisioni dell’Udp riguarda lo scaglionamento in tre blocchi dei deputati che dovranno scontare la loro sanzione, altra cosa mai verificatasi fino ad oggi, almeno in tempi recenti. Basti pensare, per capire la portata innovativa ed anche le conseguenze che il precedente produrrà, che il 19 giugno 2007 furono sanzionati con 10 giorni di sospensione, a seguito di tumulti in aula, 14 deputati del gruppo Lega Nord. Non ostante quel gruppo fosse composto in totale da 23 deputati, le sanzioni ebbero decorrenza immediata e furono scontate in un'unica soluzione da tutti i sanzionati.
Va detto che questa “innovazione” ha almeno un pregio, ovvero evitare che un deputato possa cumulare e scontare senza soluzione di continuità più di 15 giorni di sospensione, anche se irrogati per diverse contravvenzioni al regolamento. E’ il caso ad esempio del Deputato Di Battista che per due infrazioni diverse ha cumulato circa 25 giorni di sospensione (10 + 15). Come noto per prassi la massima sanzione irrogabile sono 15 giorni di sospensione. Nel caso ad esempio di Di Battista la prassi è rispettata, perché gli sono state irrogate due sanzioni una indipendente dall’altra e figlie di procedimenti tra loro diversi. Se però avesse scontato tutti insieme questi giorni di sospensione si sarebbe potuta ingenerare qualche confusione sulla possibilità di una sospensione disciplinare superiore a 15 giorni.
L’ultima novità, non è procedurale, ma politica. Ovvero è la prima volta che al Questore anziano, il capo del collegio dei tre questori, viene comminata la massima sanzione disciplinare per aver partecipato a tumulti. Considerato che tra i compiti dei questori c’è quello di assicurare l’ordine all’interno della Camera, è abbastanza evidente che il questore Dambruoso è delegittimato a permanere nella sua carica. Anzi se rimanesse al suo posto il rischio sarebbe quello di arrecare danno all’istituzione stessa. In questo senso le dimissioni spontanee sarebbero la soluzione ottimale. Ma anche forti azioni politiche per indurlo a tale passo (i membri dell’Udp non sono sfiduciabili) sarebbe legittimo e opportuno.

PRIMA DI RIFORMARE IL REGOLAMENTO DELLA CAMERA CAPIRE SE IL SENATO SARA' ELIMINATO



La presidente della Camera Laura Boldrini, a margine della riunione dei capi gruppo svolta oggi, ha dichiarato che è intenzionata a portare all’esame dell’aula della Camera la riforma del suo regolamento entro Marzo.
Premesso che il calendario dei lavori per il mese di Marzo sarà deciso la prossima settimana, l’annuncio della Presidente Boldrini suscita comunque una riflessione.
Che vi sia l’esigenza di porre mano al regolamento della Camera per rivederne alcune parti è opinione ampiamente condivisa da praticamente tutti i gruppi, fatta eccezione, forse, solo per M5S. Ma il lavoro in giunta del Regolamento che ha portato al testo finale di bozza di riforma è stato avviato e si è svolto in clima politico che dava per scontata la permanenza dell’attuale assetto bicamerale del Parlamento.
L’abolizione di ogni potere legislativo del Senato è divenuta un’ipotesi probabile con l’elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd, e dopo che il neopremier ha inserito questo obiettivo nel discorso programmatico pronunciato in Senato il progetto ha acquisito sempre maggiore concretezza, il che non vuol dire certezza della sua realizzazione.
Procedere alla riforma del regolamento della Camera all’interno di un sistema di bicameralismo perfetto, al di là del merito della proposta di riforma del regolamento, ha un senso. Procedervi non sapendo se alla fine della fiera il sistema parlamentare rimarrà bicamerale oppure monocamerale ne ha molto meno ed e si corre il rischio di trovarsi in situazioni che nessuno aveva preventivato.
Snellire i lavori parlamentari ed eliminare una serie di strumenti e istituti regolamentari con il fine di rendere certo e più agevole l’iter di alcuni provvedimenti del governo è condivisibile a “legislazione vigente”. Procedere alla stessa operazione sul regolamento dell’unica Camera a cui spetterà approvare le leggi e conferire o negare la fiducia al governo, può invece rappresentare un salto eccessivo, ovviamente in danno del parlamento e, all’interno di questo, delle minoranze, rispetto alla situazione in vigore oggi.
A nostro avviso, dunque, sarebbe meglio e sicuramente più prudente aspettare di capire se il Senato verrà trasformato in semplice camera delle autonomie prima di procedere con la riforma del regolamento della Camera. Questo non significa non riformare più il regolamento della Camera, ma solo riformarlo quando il quadro istituzionale sarà chiaro e, dunque, a ragion veduta.

mercoledì 26 febbraio 2014

IL SALVA ROMA DECADE ANCHE PER SCELTA DEL GOVERNO


Maria Elena Boschi ha avuto oggi il suo battesimo dell’aula in qualità di Ministro per i rapporti con il Parlamento ed oggettivamente non è stato un battesimo facile. Prima in capi gruppo e poi in aula, infatti, ha dovuto comunicare la decisione del governo di lasciar decadere il decreto enti locali, meglio noto come Salva Roma Bis. Nel suo intervento, però, la Ministra Boschi ci ha tenuto a precisare che il governo avrebbe certamente voluto convertire il provvedimento (che scade venerdi prossimo) ma che non è stato possibile a causa dell’indisponibilità di M5S e Lega a ritirare i moltissimi emendamenti depositati.
Su questo aspetto è opportuno precisare le parole della Boschi ancorandole ai fatti. E’ certamente vero che Lega e M5S erano pronti all’ostruzionismo. Allo stesso tempo, però, se il governo lo avesse voluto avrebbe potuto cancellare tutti gli emendamenti apponendo la questione di fiducia. Una volta messa la fiducia avrebbe potuto troncare l’eventuale successivo ostruzionismo sugli ordini del giorno chiedendo alla presidente della Camera di ricorrere alla Ghigliottina, appellandosi al precedente posto di recente. In quest’ultimo caso la Presidente della Camera avrebbe anche potuto non dare corso alla richiesta, ma come si dice “domandare è lecito, rispondere è cortesia”.
Per quanto riguarda poi la questione di fiducia, come noto per apporla su un provvedimento è necessaria una deliberazione in tal senso del Consiglio dei Ministri. Il fatto che il Presidente del Consiglio non abbia pensato minimamente a convocare un cdm lampo che acconsentisse all’eventuale ricorso alla fiducia, ma addirittura questa mattina se ne sia volato a Treviso, dimostra che il governo non aveva alcuna volontà di provare a portare a casa il decreto varato dall’esecutivo precedente.
E’ impossibile pensare di convertire alla Camera, stante l’attuale regolamento, un decreto sul quale c’è forte dissenso delle opposizioni senza ricorrere allo strumento della fiducia.
Risultato è che il salva Roma decade e vedremo quali conseguenze produrrà. Gli artefici di questa decadenza sono al 50% le opposizioni (che rivendicano infatti il risultato) e il Governo.

Il resoconto del dibattito seguito alle dichiarazioni del ministro Boschi

  MARIA ELENA BOSCHI, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, semplicemente per dare atto anche di quello che è avvenuto in Conferenza dei presidenti di gruppo. Il Governo, a fronte del decreto che abbiamo adesso all'esame, chiaramente ha mantenuto, ha confermato la volontà di arrivare ad una approvazione nei termini stabiliti, quindi entro il 28 febbraio, alla luce di molte disposizioni contenute in questo decreto, a nostro avviso di primaria importanza. Rammento semplicemente la disposizione non soltanto che riguarda il comune di Roma, ma anche la disposizione per il comune di Milano, in modo particolare il finanziamento per l'Expo, così come le previsioni che vanno a salvaguardare le popolazioni della regione Sardegna colpite dagli eventi meteorologici nel mese di novembre, nonché la previsione, tanto dibattuta e tanto discussa, che comunque era stata accolta nel decreto, sui cosiddetti «affitti d'oro».
  A fronte della rilevanza delle materie contenute in questo decreto, il Governo ha chiesto ufficialmente ai gruppi una assunzione di responsabilità per consentire la conversione nei termini previsti e quindi il ritiro dei numerosi emendamenti presentati. Di fronte alla indisponibilità manifestata ufficialmente in Conferenza dei presidenti di gruppo da Lega e MoVimento 5 Stelle, a ritirare gli emendamenti e la conferma da parte dei due gruppi a continuare con l'ostruzionismo in Aula, che renderebbe matematicamente impossibile l'approvazione del decreto entro il 28, il Governo non insiste ulteriormente sull'esame di questo provvedimento. Chiaramente si impegna fin da ora a farsi carico di recepire, in diverso provvedimento, quelle che sono le norme che verranno valutate indispensabili e di primaria importanza.
  GUIDO GUIDESI. Chiedo di parlare sulle dichiarazioni rese dal Ministro.
  PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
  GUIDO GUIDESI. Signor Presidente, visto che il Governo ha chiesto un atteggiamento responsabile ai gruppi che evidentemente avrebbero fatto ostruzionismo, e tra questi ovviamente c’è anche il gruppo di cui faccio parte orgogliosamente, vorrei dire al Ministro però che il Governo forse era opportuno – pur essendo appena arrivato – che stesse attento alla tempistica con la quale è arrivato questo decreto nella Commissione bilancio e in questo ramo del Parlamento.
  Era evidente che il decreto non potesse essere varato, a meno che non si decidesse tutti insieme che questo decreto, così come era, non si potesse nemmeno discutere. Il Governo sappia fin d'ora che noi saremo assolutamente disponibili a vagliare e a lavorare su alcune misure e su alcuni articoli che vi erano nel decreto che oggi viene ritirato dal Governo, questa per noi è una buona notizia, perché finché questo Governo insisterà sul sostentamento e non sul risanamento vero del comune di Roma noi continueremo a fare una dura e concreta opposizione e anche ostruzione ad una scelta di questo tipo.
  È opportuno che Roma, essendo – ho sentito citare tanto in questi giorni – la capitale d'Italia, inizi a dare l'esempio ai tanti altri comuni che invece, a differenza sua, sono assai più responsabili (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord e Autonomie).

lunedì 24 febbraio 2014

DISCORSO A BRACCIO SULLA FIDUCIA RENZI COME AMATO NEL 2000



Renzi come Amato, sembra incredibile ma è proprio così, e su quello che potrebbe sembrare l’aspetto più innovativo del suo esordio in parlamento per chiedere la fiducia per il suo governo, ovvero il discorso a braccio.
Oggi Renzi ha stupito tutti svolgendo a braccio il suo intervento programmatico. Eppure, almeno in questa occasione, il golden boy della politica Italiana è arrivato secondo preceduto niente meno che da colui che oggi è quasi l’icona della vecchia politica, il dottor Sottile Giuliano Amato, che ben 14 anni fa, ovvero il 27 aprile 2000 si presentava a Montecitorio e chiedeva la fiducia per il suo governo svolgendo un interventocompletamente a braccio.
Anche per quanto riguarda i rumorii e le punzecchiature con l’opposizione registrate oggi a palazzo Madama, Amato non fu da meno arrivando a sfidare l’opposizione con il suo classico tono un po’ stizzito pronunciando la frase “sfottete, sfottete, che poi vediamo come vanno le cose”.
Stessi problemi procedurali per Renzi e Amato nel depositare l’intervento nell’altra camera dove il discorso non si era svolto, mancando untesto scritto e dovendosi per forma e rispetto del parlamento depositare allorail testo del resoconto stenografico che però, doveva essere licenziato ufficialmente dai rispettivi uffici.
Dunque anche nelle curiosità la politica italiana rimane prigioniera dei corsi e ricorsi vichiani, chissà cosa ne pensa Renzi.

venerdì 21 febbraio 2014

SUPER LAVORO ALLE CAMERE IN PIENA CRISI DI GOVERNO. ENNESIMA ANOMALIA



La crisi di governo apertasi venerdì 14 febbraio con le dimissioni del Presidente del Consiglio Enrico Letta e che si concluderà con il giuramento del nuovo governo potrebbe passare alla storia come la crisi nella quale si è registrato il più alto tasso di lavori parlamentari.
La prassi costituzionale consolidata vuole che con l’apertura di una crisi di governo, Camera e Senato, interrompano la propria attività in particolare per quanto attiene l’esame di atti che implichino un rapporto tra Parlamento e governo. La prassi vuole anche che eccezionalmente, durante le crisi di governo le camere possano esaminare e approvare gli atti così detti costituzionalmente dovuti, quali ad esempio l’approvazione di leggi di conversione di decreti in scadenza.
Se da un punto di vista teorico, ma anche da quello dei precedenti, non vi è dubbio che Camera e Senato, come hanno fatto in questi giorni, possano procedere all’approvazione di decreti legge, non si può non sottolineare che mai come in questi giorni l’attività parlamentare è stata intensa in entrambe le camere al punto da non far sospettare che si fosse in una situazione di crisi di governo a chi non ne fosse al Corrente.
Dal 14 febbraio, la Camera ha esaminato e approvato Il decreto mille proroghe e il decreto sul finanziamento pubblico ai partiti. Il Senato ha invece approvato il decreto sulle carceri, il decreto destinazione Italia e quello sugli enti locali. Certamente per tutti questi provvedimenti la scadenza dei 60 giorni era più o meno prossima. Altrettanto evidentemente tutti questi provvedimenti, fatta eccezione per il mille proroghe, introducevano norme di forte impatto politico nei rispettivi settori di intervento. Norme varate dal governo attualmente dimissionario e che il nuovo governo si troverà tradotti in legge.
Poiché non è possibile effettuare un confronto con la crisi dell’ultimo governo Berlusconi e la crisi del governo Monti, perché nel primo caso il passaggio da un esecutivo all’altro si compì nel giro di poche ore, mentre nel secondo intervenne lo scioglimento delle Camere, è interessante fare un confronto con le due crisi che caratterizzarono la vita del governo Prodi due legislature fa.
La prima crisi si apri il 21 febbraio 2007, quando Prodi rassegno le dimissioni perché una mozione di maggioranza al Senato, pur essendo stata approvata non raggiunse la maggioranza assoluta dei voti. Dal 21 al 24 febbraio, giorno in cui il Presidente della Repubblica respinse le dimissioni rinviando il governo alle Camere, La Camera, che ricevette ufficialmente la comunicazione delle dimissioni del Presidente del consiglio nella giornata del 22 febbraio, in quella stessa giornata procedette all’approvazione definitiva di un decreto in tema di responsabilità amministrativa per il quale mancavano solo gli ordini del giorno e il voto finale, e nella stessa giornata procedette all’esame degli articoli presentati al decreto mille proroghe, rinviando il voto finale sul provvedimento ad altra seduta.  Seduta che si svolse quando la crisi si era già chiusa.
La seconda crisi si aprì il 24 gennaio 2008 a seguito della mancata fiducia espressa dal Senato nei confronti del governo. A seguito delle dimissioni del governo Prodi il Presidente della Repubblica assegno il 30 gennaio un mandato esplorativo all’allora presidente del Senato Marini, che rimise il mandato il 4 febbraio aprendo la strada al successivo scioglimento delle Camere. Dal 24 gennaio allo scioglimento delle Camere, la Camera dei deputati svolse due sole sedute nessuna delle quali con votazioni.

giovedì 20 febbraio 2014

LA RIFORMA DEL FINANZIAMENTO AI PARTITI PRO E CONTRO




La camera approva oggi definitivamente la riforma del finanziamento pubblico ai partiti varata dal governo uscente. Quando si parla di finanziamento pubblico, anche per tutto quello che è successo in questi anni, la domanda è una: con la nuova legge quanto spenderà lo stato e i contribuenti rispetto alla normativa vigente? La risposta è: lo stato spenderà meno e i partiti percepiranno un volume molto inferiore di denaro.
E’ vero che se si vanno a guardare le coperture della normativa in vigore e di quella che la sostituirà da domani in particolare nel 2014 il costo è praticamente identico ed è pari a circa 100 milioni annui, mentre un risparmio di circa 20 milioni si produrrà solo a  partire dal 2017, quando la nuova legge entrerà a regime. Ma per amore di verità bisogna sottolineare una differenza sostanziale. Infatti mentre quando si guarda ai costi della normativa vigente (la legge 96 del 2012) si parla di costi certi, quanto meno per quanto riguarda i 91 milioni del finanziamento pubblico. Al contrario quando si guarda alle cifre della nuova legge parliamo di tetti massimi, ma soprattutto di spese teoriche che non è detto si verifichino alla prova dei fatti.
Si prenda il 2 per mille, per il quale la legge prevede uno stanziamento massimo di 45 milioni a partire dal 2017. Questo non significa, come avviene nel sistema attuale, che i partiti aventi diritto si spartiranno 45 milioni. Bensì che si spartiranno la cifra totale che i contribuenti avranno deciso di destinargli con la dichiarazione dei redditi, cifra che non potrà essere comunque superiore ai 45 milioni, ma che probabilmente sarà molto inferiore rispetto alle attese.
Da questo punto di vista la nuova legge è positiva rispetto a quella che l’ha preceduta, e l’unico incasso certo, per chi ne ha diritto, rimangono le tre quote del vecchio finanziamento che nel triennio 2014-2016 saranno via via ridotte del 25%, 50% e 75%.
Certamente vi sono parti della nuova legge che suscitano perplessità o che possono essere considerate molto negative, sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista della trasparenza. Sul primo fronte ad esempio vanno citati i commi 6-bis e 6-ter dell’articolo 12, aggiunti in Senato, consentono ai partiti di fare pubblicità tra i cittadini per farsi destinare più risorse possibile del 2 per mille, ovviamente a spese dello stato sotto forma di tariffe postali agevolatissime. Norme che produrranno un costo di 9 milioni nel 2014, 7,5 milioni nel 2015 e 6 milioni nel 2016.
Sempre sul fronte economico un’altra norma che lascia perplessi è quella che prevede la cassa integrazione per i partiti. Lo strumento in linea di principio è condivisibile. Quello che lascia perplessi è che gli ammortizzatori sociali non vengono previsti per un periodo di tempo definito, ad esempio un triennio, ma sine die (vedi art. 16 della legge) stanziando un costo per lo stato 11,25 milioni annui a decorrere dal 2016.
Vi sono poi norme di natura ordinamentale che lasciano abbastanza perplessi. Tra queste la disposizione che affida ad un DPCM non regolamentare stabilire i criteri e le modalità per il riparto e la corresponsione ai partiti delle risorse del 2 per mille. Il DPCM non regolamentare è infatti un atto di natura amministrativa che è completamente sottratto non solo a qualsiasi forma di controllo del Parlamento, ma anche al controllo del Consiglio di stato. Ovviamente questa disposizione (art. 12 comma 3) che è stata inserita al Senato, non è stata introdotta a caso.
Altra norma problematica è quella che riguarda l’elenco dei donatori dei partiti, strumento introdotto da questa legge in sostituzione delle dichiarazioni congiunte. Nel testo originario del decreto si prevedeva che i partiti dovessero rendere pubblica ogni donazione superiore a 5 mila euro, indicando appunto anche il soggetto che l’aveva erogata. Al Senato è stata apportata la modifica che stabilisce che potranno essere resi pubblici solo i dati dei donatori che avranno firmato un’apposita liberatoria. E’ evidente che quest’ultima disposizione vanifichi la previsione di una pubblicazione di un elenco nel quale teoricamente vi potrebbero essere solo cifre di denaro senza poter conoscere da chi provengono.