La Camera dei Deputati e le sue attività raccontate in modo semplice, chiaro e accessibile a tutti.
venerdì 27 dicembre 2013
IL DURO RICHIAMO DI NAPOLITANO A GRASSO E BOLDRINI
Pubblichiamo di seguito la lettera che il Presidente della Repubblica ha inviato ai presidenti di Camera e Senato, oltre che al Presidente del Consiglio, e che la presidente Boldrini ha letto in aula nel corso della seduta odierna. Come si può ben vedere, la lettera costituisce un duro richiamo del capo dello stato in primo luogo ai presidenti delle due Camere, invitati ad applicare con massimo rigore il vaglio di ammissibilità sugli emendamenti presentati alle leggi di conversione dei decreti. Una critica che questo blog ha anticipato di qualche ora con la pubblicazione del post precedente, e che la missiva del Quirinale avvalora. Nella nota del Capo dello stato c’è anche una risposta anticipata nei confronti di chi denuncia come incostituzionali la reiterazione di parti del decreto non convertito.
Il testo che segue è quello integrale della lettera del capo dello stato, i corsivi sono invece di questo blog.
"Le modalità di svolgimento dell'iter parlamentare di conversione in legge del decreto legge 31 ottobre 2013, n. 126 recante misure finanziarie urgenti in favore di Regioni ed Enti locali ed interventi localizzati nel territorio - nel corso del quale sono stati aggiunti al testo originario del decreto 10 articoli, per complessivi 90 commi - mi inducono a riproporre alla vostra attenzione la necessità di verificare con il massimo rigore l'ammissibilità degli emendamenti ai disegni di legge di conversione.
Numerosi sono stati i richiami formulati nelle scorse legislature da me - in presenza di diversi Governi e nel rapporto con diversi Presidenti delle Camere - e già dal Presidente Ciampi alla necessità di rispettare i principi relativi alle caratteristiche e ai contenuti dei provvedimenti di urgenza stabiliti dall'articolo 77 della Costituzione e dalla legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988.
Come è noto questi principi sono stati ribaditi in diverse pronunce della Corte Costituzionale. In particolare nella sentenza n. 22 del 2012 la Corte ha osservato che "l'inserimento di norme eterogenee rispetto all'oggetto o alle finalità del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell'urgenza del provvedere e i provvedimenti provvisori con forza di legge", valutazione fatta sotto la propria responsabilità e sottoposta a giudizio del Capo dello Stato in sede di emanazione. Conclude la Corte affermando che "la necessaria omogeneità del decreto legge deve essere osservata anche dalla legge di conversione", riservandosi la facoltà di annullare le disposizioni introdotte dal Parlamento in violazione dei suindicati criteri.
Proprio a seguito di questa sentenza il 22 febbraio 2012 ho inviato ai Presidenti pro-tempore delle Camere una lettera nella quale avvertivo che di fronte all'abnormità dell'esito del procedimento di conversione non avrei più potuto rinunciare ad avvalermi della facoltà di rinvio, pur nella consapevolezza che ciò avrebbe potuto comportare la decadenza dell'intero decreto legge, non disponendo della facoltà di rinvio parziale. Esprimevo inoltre l'avviso che in tal caso fosse possibile una parziale reiterazione che tenesse conto dei motivi posti alla base della richiesta di riesame. La stessa Corte Costituzionale, del resto, fin dalla sentenza n. 360 del 1996, ha posto come limite al divieto di reiterazione la individuazione di nuovi motivi di necessità ed urgenza.
Rinnovo pertanto nello stesso spirito di collaborazione istituzionale l'invito contenuto in quella lettera ad attenersi, nel valutare l'ammissibilità degli emendamenti riferiti ai decreti legge, a criteri di stretta attinenza allo specifico oggetto degli stessi e alle relative finalità, anche adottando - se ritenuto necessario - le opportune modifiche dei regolamenti parlamentari".
Roma, 27 dicembre 2013
LA BOCCIATURA DEL COLLE SUL SALVA ROMA INVESTE ANCHE I PRESIDENTI DELLE CAMERE
La mancata conversione del Decreto Legge 126/2013, quello
ribattezzato salva Roma, è l’inevitabile conseguenza della contrarietà del Capo
dello Stato a firmare la promulgazione della legge di conversione.
La secca bocciatura inflitta da Napolitano non riguarda,
però, solo il governo ma investe il parlamento nel suo complesso, e cioè i
gruppi parlamentari che hanno presentato e approvato con i loro voti
emendamenti che a norma di costituzione non potevano albergare il quel
provvedimento, ma anche, e forse soprattutto, le presidenze delle due camere e
delle due commissioni bilancio di Camera e Senato.
Certamente sono stati i gruppi parlamentari, sia al Senato
che alla Camera, che hanno scritto e presentato emendamenti che hanno snaturato
clamorosamente un decreto la cui finalità era già politicamente discutibile. Ma
come noto prima i presidenti delle commissioni che svolgono l’esame in sede
referente, e soprattutto i due presidenti delle assemblee, hanno praticamente
un potere assoluto per quanto attiene l’ammissibilità degli emendamenti
presentati.
In particolare in occasione dell’esame di ogni decreto,
nelle commissioni della Camera dal 2012 si svolge la seguente “liturgia”. Il
Presidente della commissione competente legge una speech in cui si da conto
della sentenza n. 22 del 2012 della Corte Costituzionale, con la quale furono
cassati alcuni articoli di un mille proroghe del 2010 inseriti tramite
emendamenti nel corso dell’iter dell’esame parlamentare, e successivamente si
da conto della lettera del 23 febbraio 2012 che il Presidente ha inviato aipresidenti di Camera e Senato per invitarli a tener conto della sentenza della
Consulta in tema di ammissibilità degli emendamenti ai decreti. Liturgia svolta
regolarmente anche in questa occasione dal presidente Boccia (vedi di seguito)
Quindi, chiusa la lettura, dello speach il presidente di
commissione avverte che nella valutazione delle eventuali inammissibilità degli
emendamenti presentati si atterrà oltre ai normali criteri a quelli, ancora più
restrittivi, testè illustrati.
Ovviamente stesso e ancora più forte potere hanno i
presidenti delle due assemblee, la cui valutazione è inappellabile. Valutazione
che alla luce dei fatti e della bocciatura del Colle, si deve giudicare pessima
o addirittura assente.
Si dirà che in questo caso la Presidente della Camera ha
meno colpe del collega del Senato, perché a Montecitorio sul testo presentato
in aula nella formulazione approvata in commissione è stata posta la fiducia
del governo. A nostro avviso tecnicamente questo elemento non giustifica la
presidenza della Camera. Infatti nell’apporre la fiducia il governo presenta un
maxiemendamento e su questo unico, grande emendamento, la presidenza esercita
formalmente il vaglio di ammissibilità, come per gli altri emendamenti, e se lo
ritiene può anche stralciarne alcune parti che non ritiene ammissibili. I precedenti in questo senso vi sono (Per citarne uno si veda lo speech di Fini nella seduta del 23 luglio 2009 in sede di vaglio di ammissibilità al maxiemendamento presentato al Dl 78/2009).
Ovviamente il fatto che il testo sia stato approvato dalla
commissione competente e che su quello fosse stata raggiunta un’intesa tra
gruppi e governo anche in vista di eventuali correzioni da apportare nel successivo
mille proroghe, oltre che sui tempi di esame, non ha reso le cose facili per un
presidente debolissimo politicamente come quello della Camera.
Fatto sta che il niet del Colle, che ha avuto un occhio di
riguardo formale per il governo invitandolo a ritirare “autonomamente” il
provvedimento invece di vedersi negata la firma in sede di promulgazione, deve
essere letto nel suo complesso e dunque le colpe vanno equamente suddivise
Speech sui criteri di ammisibilità per gli emendamenti presentati alle leggi di conversione dei decreti letto in commissione da Francesco Boccia il 21dicembre 2013
lunedì 23 dicembre 2013
DOMENICA E' SEMPRE DOMENICA ANCHE SE IN AULA C'E' DISCUSSIONE GENERALE
Domenica è sempre domenica
cantava Mario Riva, e nella discussione generale svoltasi proprio di domenica
alla Camera sul Decreto salva Roma molti gruppi hanno dimostrato di condividere
questo ritornello. Probabilmente è un
caso ma nella discussione di ieri sono stati tre gruppi (Sel, Fdi e NCD) a non
iscrivere neppure un oratore, mentre il gruppo di Per l’Italia (Udc) pur avendo
tre iscritti non ha svolto alcun intervento.
Rinunciare a parlare in
discussione generale, ed in particolare in occasione di un decreto, è un fatto
assolutamente insolito per le procedure dei lavori parlamentari alla Camera, a
maggior ragione nei casi in cui la probabile fiducia lascia la discussione
generale come unica occasione in cui poter svolgere considerazioni politiche
complessive sul provvedimento in esame, visto che a differenza delle
dichiarazioni di voto, ogni oratore dispone di 30 minuti di tempo.
Eppure ieri si è verificata
questa anomalia, con più gruppi, addirittura di opposizione, che hanno
rinunciato completamente a far sentire la loro voce su un provvedimento che
pure nelle dichiarazioni di stampa sembrava molto atteso e sentito un po’ da
tutti.
Probabilmente la circostanza che
il dibattito si dovesse svolgere nell’arco temporale che va dalle 13 circa alle
18 (in realtà la discussione è stata chiusa prima), e cioè tra il pranzo della
domenica e le partite di calcio deve aver influito in qualche modo, e questo è
francamente incredibile da parte di una classe politica che già non gode di una
grande popolarità.
venerdì 20 dicembre 2013
CARO RENZI IL TUO PD HA VOTATO CONSAPEVOLMENTE SULLA "PORCATA DELLE SLOT"
Questo blog non si occupa dei lavori del Senato, ma siamo
costretti a fare un’eccezione per il clamore suscitato dall’emendamento
inserito nel così detto decreto salva Roma che prevede tagli per i comuni che
rendano la vita difficile alle slot machines, e che il segretario del Pd Renzi
si è precipitato a definire una porcata.
Delle due l’una o Renzi si ispira a Togliatti in fatto di
doppiezza, oppure sembra il personaggio dei Brutos che come parlava prendeva un
ceffone. Eh si, perché al netto delle scomuniche postume, quella norma il Pd,
renziani compresi, l’ha votata, non ostante che sul contenuto dell’emendamento
avessero lanciato l’allarme sia il socialista Nencini che il pentastellato
Endrizzi. Non solo ma il relatore del provvedimento, che ha dato fin da subito
parere favorevole all’emendamento in questione era del Pd, la senatrice Zanoni.
Dunque, al di là delle chicchiere, per farsi un’idea sulla
vicenda e per non farsi prendere in giro la cosa migliore è andare direttamente
alle fonti, ovvero il resoconto stenografico della seduta di mercoledì 18
dicembre del Senato.
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1149
PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento
1.150/100.
Votazione nominale con scrutinio simultaneo
PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio
simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell'emendamento 1.150/100,
presentato dai senatori Fravezzi e Zeller.
NENCINI (Aut (SVP, UV, PATT,
UPT)-PSI-MAIE). Domando di parlare.
PRESIDENTE. Annullo la votazione. Ne ha facoltà.
NENCINI (Aut (SVP, UV, PATT, UPT)-PSI-MAIE).
Signor Presidente, solo per mettere in evidenza all'Assemblea che il capoverso
20-quater dell'emendamento 1.150 appare in netta contraddizione con uno
degli indirizzi centrali del Governo. Da una parte si sostiene che debba essere
combattuta la ludopatia; dall'altra, invece, all'interno del capoverso 20-quater
si fa riferimento ad un mancato trasferimento o a un minore trasferimento a
Regioni ed enti locali che volessero con i loro provvedimenti legislativi o
comunque di natura normativa intervenire in materia di giochi pubblici. Trovo
la cosa assolutamente contraddittoria, e la mia opinione è che debba essere
fatto salvo l'indirizzo del Governo. (Applausi dei senatori Buemi e
Puppato).
FALANGA (FI-PdL XVII).
Domando di parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
FALANGA (FI-PdL XVII). Signor Presidente, lei
questa sera più di una volta, dopo aver dichiarato aperta la votazione, l'ha
annullata per dare la parola a chi ha chiesto di intervenire. Lei è un cultore
del nostro Regolamento ed è lungi da me l'idea di darle dei suggerimenti, ma
l'articolo 110 del Regolamento questo non glielo consente: una volta aperta una
votazione, lei non può dare la parola se non soltanto ed esclusivamente in
relazione ad interventi sulle modalità della votazione, e non certamente nel
merito dell'emendamento da votare, come è stato fatto anche nell'ultimo
intervento.
PRESIDENTE. Senatore Falanga, cerco
di mantenere un certo ritmo, ma mi fermo quando si chiede di intervenire, ed ho
il potere di annullare le votazioni. Preferisco procedere così. Del resto,
l'intervento del senatore Nencini è perfettamente coerente con il
subemendamento.
Dichiaro aperta la votazione dell'emendamento 1.150/100.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B).
Ripresa della discussione del disegno di legge n. 1149
SANTANGELO (M5S). Domando di
parlare.
PRESIDENTE. Ne ha facoltà.
SANTANGELO (M5S). Signor Presidente, chiedo scusa:
secondo quale criterio è nelle sue facoltà dare la parola ad un senatore e non
ad un altro? Il senatore Endrizzi le ha gentilmente chiesto la parola ancor
prima della votazione e, nonostante questo, lei ha aperto la votazione.
PRESIDENTE. Senatore Santangelo, posso anche scusarmi, ma
come ho dato la parola al senatore Falanga, l'avrei data, se l'avessi visto,
anche al senatore Endrizzi.
SANTANGELO (M5S). Signor Presidente, lei lo ha
chiaramente visto e ha omesso di dare la parola al senatore Endrizzi. (Commenti
generali).
Io la prego di essere cortese in uno spirito
collaborativo.
PRESIDENTE. Senatore Santangelo, io
devo curare il corretto svolgimento dei lavori. Se il senatore Endrizzi ha
chiesto di intervenire, io gli do la parola.
ENDRIZZI (M5S). Signor
Presidente, io ero in piedi con la mano alzata. Volevo fare una dichiarazione
di voto, perché questo emendamento è una vergogna colossale: non solo
garantisce alle società concessionarie a cui venga ritirata la licenza per
colpa grave di potere continuare ad esercitare per novanta giorni, ma
garantisce anche alle società che già hanno concessioni di avere una specie di
prelazione su quelle concessioni, anziché vedersele completamente ritirate. E,
soprattutto, una cosa vergognosa che qualifica un Governo e uno Stato come
«cravattari» (Applausi dal Gruppo M5S e del senatore Pagnoncelli), è che
esso impone dei tagli ai trasferimenti agli enti locali, Comuni e Regioni che
osino emettere regolamenti o leggi che vadano a disturbare il gettito
dell'erario. Si toglie la possibilità alle Regioni e ai sindaci di intervenire
a tutela dei loro cittadini per la salute e come consumatori. Questo non è
accettabile!
Il fatto che poi si dica che queste sanzioni vengono
ritirate nel momento in cui vengono ritirati gli emendamenti qualifica questo
intervento come un ricatto immorale. (Applausi dal Gruppo M5S).
PRESIDENTE. Vede, senatore
Santangelo, l'intervento del senatore Endrizzi era opportuno proprio in questa
fase, perché prima stavamo parlando di un subemendamento che sopprimeva solo
una parte dell'emendamento 1.150, mentre invece l'intervento del senatore
Endrizzi era riferito al merito dell'emendamento 1.150.
ENDRIZZI (M5S).
Evidentemente paghiamo tutti una certa confusione. Lei questa sera non è stato
brillante come altre volte. Io, come neofita, chiedo di essere altrettanto
compreso.
PRESIDENTE. Prima il senatore
Barani ha detto che sono diventato un micino cieco questa sera. Non ho mai
avuto un gatto.
Passiamo alla votazione dell'emendamento 1.150, nel testo
emendato.
Votazione nominale con scrutinio simultaneo
PRESIDENTE. Indìco la votazione nominale con scrutinio
simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell'emendamento 1.150,
presentato dalla Commissione, nel testo emendato.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).
Il Senato approva. (v. Allegato B). (Applausi
ironici dal Gruppo M5S).
VOCE DAL GRUPPO M5S. Bravi!
giovedì 19 dicembre 2013
TRA LE MANCE DELLA LEGGE DI STABILITA' ANCHE 30 MILIONI ALLA VERA LEGGE MANCIA
La legge di stabilità che la
Camera sta per approvare rifinanzia con 30 milioni di euro per il solo 2014 la
famigerata legge mancia. Il comma in questione è il 248 il quale, appunto,
destina 30 milioni al fondo di cui all’articolo 13, comma 3 quater, del decreto
112/2008. Questo fondo contiene risorse da destinare al risanamento, al
recupero o allo sviluppo dei territori, e la destinazione di queste risorse è
si operata dal Ministro dell’Economia, ma sulla base di un apposito atto di
indirizzo delle commissioni bilancio di camera e senato in cui vengono indicati
i destinatari e le quote da ricevere. La legge mancia appunto. Va detto che i
30 milioni stanziati sono inferiori agli stanziamenti degli anni precedenti per
la stessa finalità, ed in realtà il governo non ha fatto altro che ridare al
parlamento gli stessi soldi che nel corso del 2013 erano rimasti sul fondo
della legge mancia ma che i parlamentari non avevano avuto il coraggio di
spendere, per ovvi motivi legati alle elezioni e alla crescente ostilità verso
la politica.
Ma se nel corso di questo anno
non c’è stato il coraggio di utilizzare questi soldi, perché pretendere che
venissero stanziati nuovamente, magari per lasciarli inutilizzati anche quest’anno?
Difficile dirlo probabilmente sapere che i fondi della legge mancia sono lì a
disposizione ai nostri parlamentari fa lo stesso effetto rassicurante che ha la
lucina accesa di notte per i bimbi piccoli.
Va detto però che un emendamento
approvato in commissione ha limitato in parte la libertà di manovra nella destinazione
di questi 30 milioni, stabilendo che queste risorse debbano essere destinate
prioritariamente ad interventi di messa in sicurezza del territorio. Ovviamente
se al posto di prioritariamente si fosse utilizzato l’avverbio esclusivamente
sarebbe stato ancora meglio.
mercoledì 18 dicembre 2013
LA FRETTA, A PAROLE, SUL FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI
Il governo ha varato il decreto che elimina il finanziamento
pubblico ai partiti venerdì 13 dicembre. Da allora, però, il decreto non è
stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale, e dunque non è in vigore. Da
venerdì a ieri sono state pubblicate giù quattro gazzette (venerdi, sabato,
lunedì e martedì) ma del provvedimento governativo sui soldi dei partiti non vi
è traccia.
Ovviamente non vi è nulla di strano. Capita sovente che un
decreto varato in consiglio dei Ministri compaia in Gazzetta anche diversi
giorni dopo. Solitamente ciò si deve soprattutto a due fattori. Uno riguarda
gli ulteriori aggiustamenti che gli uffici governativi continuano ad apportare
al testo anche dopo la sua approvazione in Cdm. Questo avviene solitamente
quando i provvedimenti sono approvati con la formula “salvo intese”. L’altro
fattore che può ritardare la pubblicazione di un decreto è la firma
indispensabile del Capo dello Stato, che in alcuni casi può tardare ad arrivare
quando gli uffici legislativi del Quirinale intendono effettuare ulteriori
controlli e approfondimenti sul testo.
Non sappiamo quali siano i motivi della mancata
pubblicazione del decreto sul finanziamento pubblico ai partiti, certo è strano
però che ci si sbrighi ad approvarlo e soprattutto ad annunciarlo (a parole) e
poi si lascino trascorrere ad oggi già 5 giorni prima di tradurlo in un fatto
concreto.
Ovviamente sono troppi i giorni che separano dalla fine dell’anno
per pensare ad una manovra dilatoria volta a scavallare la data limite del 31
dicembre, anche perché sarebbe semplicemente suicida. Certo è che più tardi si
pubblica il testo, perché ad oggi esistono solo le anticipazioni a parole della
conferenza stampa del presidente del consiglio, e meno tempo c’è per leggerlo
minuziosamente riga per riga, in particolare a ridosso delle festività
natalizie.
Altro effetto singolare e perverso di questo ritardo nella
pubblicazione e nella presentazione del decreto al Senato, sta nel fatto che
proprio oggi la commissione affari costituzionali di Palazzo Madama fa partire
l’iter dell’esame sul finanziamento pubblico, ma ovviamente non sul decreto che
non c’è, bensi sul testo del disegno di legge approvato alla Camera.
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