Il disegno di legge ordinaria del governo sul riassetto
delle province non se la passa molto bene stretto com’è tra le critiche
incalzanti dell’UPI, che ovviamente difende i propri interessi, e le bocciature di molti e insigni
costituzionalisti.
Forse è per questo che ieri il Ministro Graziano Delrio ha
sentito il bisogno di intervenire in commissione affari costituzionali della
Camera per cercare di fare un po’ di chiarezza. Delrio ovviamente ha svolto un
intervento assai articolato, che è pubblicato nei resoconti della commissione,
fornendo tutta una serie di dati che dovranno essere valutati
Noi riteniamo necessario soffermarci solo su due. Il primo
riguarda la questione dei risparmi ed in particolare di quelli attesi dalla
cancellazione della classe politica provinciale. La relazione tecnica al
provvedimento, a pag. 12 dello stampato a.c. 1542, quantifica tali risparmi in
11 milioni. Pochini rispetto alle attese. Delrio ieri ha chiarito che si tratta
di un refuso che ha fatto saltare uno zero, e che il risparmio è in realtà di
110 milioni. Non c’è motivo per non credere al ministro, certo è che un errore
così rilevante, poteva essere individuato e corretto prima, mentre fino a ieri
nulla è stato detto in proposito non ostante che il disegno di legge è stato
presentato alla Camera il 20 agosto.
Altra questione di rilievo riguarda la sorte del personale dipendente
delle Province. Delrio ieri ha invitato a non creare allarmismi ingiustificati,
che il problema non esiste, perché è intenzione del governo non licenziare
nessuno. Al di là delle intenzioni il problema è che per quanto riguarda il
futuro del personale delle province ad oggi non c’è alcuna norma chiara, né tanto
meno una sorta di clausola di garanzia. Al contrario al comma 4 dell’articolo
15 del ddl sulle province viene demandato ad un decreto del presidente del
consiglio dei ministri individuare i criteri generali per il trasferimento, tra
l’altro delle risorse umane ai comuni o alle unioni di comuni. A tal proposito
giova ricordare un aspetto non secondario, ovvero che il decreto del presidente
del consiglio è un atto regolamentare che come tale è sottratto all’esame del
parlamento, che al massimo sarà chiamato ad esprimere un semplice parere.