lunedì 29 luglio 2013

LE CONSEGUENZE SUI LAVORI DELLA CAMERA DEL BRACCIO DI FERRO SULLA COSTITUZIONE



La settimana parlamentare appena conclusasi ha visto la Camera bloccata su un unico provvedimento, il Dl del Fare, a seguito dell’ostruzionismo posto in essere dal movimento 5 Stelle. Oggetto del contendere non era tanto, o non solo il decreto in aula, bensì il disegno di riforma costituzionale per l’istituzione del così detto comitato dei 42, sul quale il governo ha provato ad imprimere una forte accelerazione. In questo senso il duro braccio di ferro avviato con il Movimento 5 stelle si può dire sia finito in pareggio 1-1, ma con gol segnato fuori casa dal governo, che dunque vale doppio.
I Cinque stelle portano a casa che il disegno di legge costituzionale non sarà approvato prima di settembre, e questo significa che il comitato dei 42 istituito da questa legge non entrerà in vigore prima di dicembre, invece che a novembre come pure aveva provato a fare il governo, dal momento che la seconda lettura della camera, trattandosi di legge costituzionale, non potrà esserci prima che siano passati tre mesi dalla prima.
Il governo, dal canto suo, ottiene la garanzia che i decreti che ancora debbono essere convertiti prima delle vacanze  non saranno bloccati dall’ostruzionismo di M5S, inoltre con il fatto che il ddl costituzionale sarà esaminato in due calendari diversi, agosto e settembre, farà scattare il contingentamento dei tempi previsto dal comma 12 dell’articolo 24 del regolamento Camera.
Resta da capire di cosa si occuperà l’aula di Montecitorio fino al 7-8 agosto, dal momento che il calendario verrà stilato solo domani dalla capi gruppo. In questa settimana, o meglio tra oggi e domani, dovrebbe essere licenziato il Dl eco-bonus, quindi giovedì secondo gli accordi si dovrebbe svolgere la discussione generale sul ddl costituzionale. Gli spazi restanti in questa e nella prossima settimana dovrebbero essere dedicati alla conversione di altri due decreti ora al Senato e della Comunitaria, come chiesto dal Ministro Franceschini.
Sospesa rimane la sorte di due o tre ddl, quali l’Omofobia, la diffamazione e soprattutto il finanziamento ai partiti. Omofobia e Diffamazione, approvati ormai dalla commissione giustizia, erano in attesa del parere della commissione affari costituzionali, ma sono sparite dal calendario di quella commissione, il che farebbe pensare che potrebbero non approdare in aula. Probabile rinvio a settembre, forse più che per i ddl precedenti, per il disegno di legge sui finanziamenti ai partiti, sula quale non c’è accordo in maggioranza.
Staremo a vedere in attesa della capigruppo e soprattutto della Sentenza della Cassazione su Silvio Berlusconi.

martedì 23 luglio 2013

SULL'OMOFOBIA IL PACCO E' SERVITO, ANCHE QUESTA VOLTA



Alla fine sulla legge anti omofobia si è giunti ad un compromesso che è ovviamente al ribasso, ma quel che è peggio è che il nuovo testo approvato da un lato sarà inapplicabile perché fa riferimento a due termini, omofobia e trans fobia che nel nostro codice non esistono e non sono definiti. Dall’altro la riformulazione adottata apre un varco, come nella scorsa legislatura ad una pregiudiziale di costituzionalità. Pericoli assolutamente scongiurati dal primo testo base adottato che facevano riferimento ai concetti di orientamento sessuale e identità di genere definendoli anche in maniera appropriata.
Altra beffa riguarda il fatto che, mentre il testo precedentemente adottato, estendeva l’aggravante prevista dall’articolo 3 della legge Mancino (che prevede un aumento di pena pari alla metà rispetto a quella prevista) per discriminazioni e violenze fondate sull’orientamento sessuale e sulla parità di genere, il testo attuale non le prevede, poiché non procede a novellare tale articolo. Questo significa che mentre per un reato commesso sulla base di una discriminazione religiosa o razziale sarà prevista la pena per quel reato più l’aggravante specifica prevista dall’articolo 3, questo non varrà per l’omofobia.
Altro aspetto sorprendete è stato l’intervento svolto ieri in commissione dal sottosegretario Ferri che in sostanza ha detto che il governo è favorevole a modificare anche questo testo in aula ed ha pure suggerito quali emendamenti presentare.
Alla luce di ciò appaiono assolutamente ingiustificate le critiche rivolte da parte del Pdl al relatore Leone che, per parte sua è anzi riuscito a depotenziare abilmente la portata della legge in esame. Ingiustificato allo stesso modo è il tono trionfale dell’altro relatore,Ivan Scalfarotto, ovviamente per motivi opposti e di tutto il Pd.

lunedì 22 luglio 2013

GLI EMENDAMENTI (PIU' PERICOLOSI) AL DDL FINANZIAMENTO PARTITI



Da domani la commissione affari costituzionali della Camera inizia a votare gli emendamenti presentati al ddl al finanziamento pubblico ai partiti. Degli oltre 100 presentati giova illustrarne alcuni sia per sottolinearne la pericolosità, ovviamente per i soldi pubblici, ma anche per dimostrare come in alcuni casi, vedi i renziani, sia ampia la distanza tra le dichiarazioni e gli atti effettivamente depositati.
I più raffinati nel tentativo di far passare norme per aumentare le risorse ai partiti in maniera poco vistosa sono senza dubbio due presentati dall’ex ministro Balduzzi. Il primo (10.2) prevede di ridestinare le somme eventualmente inoptate del due per mille. Poiché l’articolo 10 del ddl governativo sembra voler facilitare questo genere di operazioni, prevedendo al comma 6 che le somme non destinate per l’anno in corso rimangano comunque disponibili in conto residui. Balduzzi sfrutta in pieno l’occasione e propone di ridestinare quelle somme ai partiti che presentino un progetto dettagliato di formazione politica rivolto a terzi. L’ex ministro osa anche di più, quando con l’emendamento 13.1 propone la reintroduzione del rimborso per le spese elettorali, cioè proprio quella forma di finanziamento che la legge del governo vorrebbe abolire.
Notevoli anche un paio di emendamenti di Sel a firma del tesoriere Boccadutri. Uno di questi (il 10.01) propone, come ha dichiarato lo stesso Boccadutri al Corriere di oggi, un rimborso elettorale morigerato, pagato una sola volta e a fronte di spese effettive, peccato che a questo aggiunga anche ben 75 milioni annui che i partiti si spartirebbero sotto forma di cofinanziamento, ovvero un contributo di 50 cent. che lo stato aggiunge per ogni euro ricevuto dai partiti sotto forma di erogazione liberale. Questo elemento, chi sa perché, Boccadutri al corriere non l’ha raccontato. Altro emendamento esemplare proposto da Sel è quello in cui con l’emendamento 12.01, nascosto tra i tecnicismi normativi prova ad estendere l’iva agevolata al 4% per i sondaggi d’opinione commissionati dai partiti, e soprattutto a prevedere che se ci sono le elezioni in un qualsiasi comune d’Italia l’iva al 4% prevista per la campagna elettorale non valga per i partiti solo nel territorio dove si svolgono le elezioni, ma su tutto il territorio nazionale.
Per quanto riguarda i Renziani, invece, sorprende che i loro emendamenti non intervengano, ad eliminare i soldi veri e propri che lo stato vuole dare ai partiti sotto forma di 2 per mille, anzi addirittura ne propongono un aumento al 2,5 per mille con un emendamento a firma Roberta Agostini (10.5), intervengono invece ad eliminare i vantaggi in servizi che lo stato potrebbe erogare alle formazioni politiche.
Originali sono invece due dei pochi emendamenti della lega, che intervengono contro i sindacati che prevedono la cancellazione delle trattenute sindacali e l’obbligo per i sindacati di pubblicare il bilancio.  

lunedì 15 luglio 2013

QUESTION TIME DI ALFANO IN COMMISSIONE, MA E' UN ERRORE NELL'ODG ABLYAZOV MANDA IN CONFUSIONE LA CAMERA



Alla Camera dei Deputati le comunicazioni ufficiali inviate dagli uffici ai singoli deputati, in particolare per quanto riguarda gli ordini del giorno di aula e commissione sono da sempre un esempio di perfezione formale.  L’eccezione che conferma la regola è l’errore sfuggito nella compilazione del calendario dei lavori per la settimana in corso della Commissione Affari costituzionali.
Se lo si consulta sul sito della Camera si legge che Giovedì18 alle ore 14 sono previste “interrogazioni a risposta immediata” su temi riguardanti il ministero dell’interno. Chi sa quanti sono sobbalzati sulla sedia preparando già interrogazioni infuocate sul caso Ablyazov al quale il Ministro dell’Interno sarebbe stato costretto a rispondere.
In realtà non ci sarà nulla di tutto questo, ma le interrogazioni a risposta immediata, altro non saranno che le repliche di prassi all’illustrazione del proprio programma d’azione svolta dal Ministro Alfano la scorsa settimana sempre in commissione. In questi casi, solitamente, nell’ordine del giorno si scrive seguito audizione, e non interrogazioni a risposta immediata che costituiscono  un istituto parlamentare completamente diverso.
Eppure a ben guardare, almeno per i più esperti, gli estremi per rendersi conto dell’errore c’erano. Quando all’ordine del giorno della commissione sono previste interrogazioni a risposta immediata, sono riportati anche i termini entro i quali l’interrogazione deve essere depositata, ovvero il giorno precedente entro le 12,00. Termine che questa volta non era indicato.
Formalmente l’errore resta ed è abbastanza evidente, ancorché eccezionale, sia dal punto di vista formale che sostanziale, anche perché va a toccare proprio il ministro, come quello degli Interni, che al momento si trova nella posizione più delicata.

venerdì 12 luglio 2013

IL GOVERNO RIDUCE MA BLINDA I RIMBORSI ELETTORALI


Se si volessero sintetizzare in poche parole gli effetti prodotti dalla proposta di legge del governo sul finanziamento pubblico ai partiti, si potrebbe dire questo: I rimborsi elettorali nel 2017 lasceranno il campo al sistema del due per mille. Dal 2013 al 2016 i rimborsi, che continuano a sopravvivere, vengono ridotti ma al tempo stesso blindati a favore dei partiti, anche a fronte di eventuali palesi irregolarità commesse.
L’effetto perverso nasce dal combinato disposto dell’articolo 7 del disegno di legge a.c.1154 e dalla lettera f) del comma 4 dell’articolo 14 dello stesso testo. Il primo introduce di fatto controlli di natura più blanda rispetto a quelli vigenti e prevede che entrino da subito in vigore, la seconda sopprime i commi da 8 a 21 dell’articolo 9 della legge 96/2012, guarda caso proprio le eventuali sanzioni che attualmente si possono applicare ai partiti a fronte di irregolarità contabili. Basta leggere il primo dei commi abrogati per capire l’effetto prodotto “Il presidente del Senato e il Presidente della Camera sospendono…l’erogazione dei rimborsi e dei contributi per il cofinanziamento spettanti ai partiti che risultino inottemperanti ecc. ecc.”
Il risultato è chiaro, oggi se un partito commette irregolarità contabili, si può vedere bloccati i rimborsi e addirittura comminare sanzioni economiche. Una volta approvata la nuova legge del governo questo non sarà più possibile per i rimborsi elettorali e il cofinanziamento che pure, come detto, continuerà ad essere erogato fino al 2017. Dunque si da vita ad una zona franca di quattro anni a prova di tesoriere più ladro del mondo.
E’ mai possibile che si possa essere trattato di una svista o di un errore materiale di qualche funzionario di Palazzo Chigi? Non si può escludere anche se l’esperienza insegna che nelle leggi in tema di soldi ai partiti niente, neppure una virgola, è inserita per caso, ma tutto ha un fine ben preciso. Un’ultima chicca. Nell’articolo 7 della proposta di legge si prevede la possibilità di escludere un partito dal percepimento del 2 per mille in caso di irregolarità, ma si tratta solo di una possibilità teorica. Infatti la legge prevede che se un partito non invia alla Commissione di controllo il proprio bilancio certificato entro il termine stabilito (il 15 giugno) può comunque sanare la sua posizione tranquillamente entro il 31 ottobre successivo. Peccato che la stessa elasticità non venga applicata ai cittadini per quanto riguarda le scadenze fiscali e i rapporti con Equitalia.

giovedì 11 luglio 2013

TOTALMENTE INADEGUATA AL SUO RUOLO



Spiace doverlo dire, ma ieri Laura Boldrini ha dato prova di tutta la sua inadeguatezza a svolgere l’importante ruolo che ricopre, quello di Presidente della Camera, superando anche il suo predecessore Gianfranco Fini, quando arrivò a sostenere che un deputato era libero di parlare in aula a seconda di quello che diceva.
Ieri era una giornata particolare per la sospensione dei lavori richiesta dal Pdl, al quale i deputati M5S avevano risposto prima con un sit in fuori da Montecitorio e poi assistendo in piedi allo svolgimento del question time del loro capogruppo Nuti.
La Boldrini è apparsa subito incerta, forse temendo le reazioni del M5S, quando ha consentito tranquillamente a Nuti di proseguire nella sua illustrazione ben oltre il minuto regolamentare. Il meglio è giunto, però, quando si è conclusa l’interrogazione. I deputati 5 stelle hanno continuato ad applaudire impedendo per qualche minuto di passare alla successiva interrogazioni. La Presidente gli chiede un paio di volte di smettere, poi inizia a chiedere l’aiuto di Luigi di Maio, addirittura richiamandolo “al suo ruolo”. Di Maio, che probabilmente dai banchi del suo gruppo si sente più sicuro di quando presiede l’aula, giustamente ha ricordato alla Boldrini “Presidente le ricordo che lei sta presiedendo l’aula, non io”.
Il silenzio di Laura Boldrini e la faccia terrea del Segretario Generale Zampetti sono la migliore fotografia dell’umiliazione a cui si è esposta la Presidente della Camera. Il richiamo a Di Maio, per riportare all’ordine il gruppo di cui è membro, non ha alcun fondamento. I membri dell’ufficio di presidenza, in questo caso un vice presidente, quando non presiede è un deputato come un altro e la sua carica non lo vincola ad alcuna condotta o ruolo. Se si vuole chiedere collaborazione per riportare all’ordine un gruppo se mai ci si rivolge al suo presidente o al delegato d’aula. Probabilmente Laura Boldrini l’ha scoperto solo ieri, sempre che l’abbia capito o che Zampetti glielo abbia spiegato.

 http://webtv.camera.it/portal/portal/default/Assemblea?NumeroLegislatura=17&NumeroSeduta=50&IdIntervento=278107

mercoledì 10 luglio 2013

CHIUSO PER COSA?



I lavori della Camera (ed anche quelli del Senato) sono per il momento bloccati a seguito della richiesta avanzata dal Pdl di sospensione delle attività parlamentari per tre giorni per consentire ai gruppi PDL di rimanere riuniti in assemblea permanente. Non si tratta di altro che della ritorsione politica nei confronti della decisione della Cassazione di pronunciarsi sul processo mediaset entro fine mese.
Il problema, però, se i lavori delle Camere dovessero essere effettivamente bloccati, non riguarda tanto il Pdl che, comunque la si voglio giudicare, sta mettendo in atto una protesta politica. Riguarda soprattutto gli altri gruppi della maggioranza ed in particolare il governo di Enrico Letta. Ovviamente le opposizioni si sono già pronunciate con forza per il proseguimento dei lavori parlamentari.
Se i lavori si bloccheranno, e questo accadrà solo se il Pd e il governo lo consentiranno, sarà manifesto che il Premier Letta e la stessa maggioranza sono ufficialmente ostaggi del Pdl e del suo leader Silvio Berlusconi. Andare avanti comunque è certamente rischioso, perché c’è già chi nel Pdl è arrivato a minacciare una crisi di governo. Anche se non si arrivasse a tanto sarebbe comunque rischioso perché, ad esempio, alla Camera si vota un decreto come quello sull’Ilva, e con il Pdl sull’aventino i numeri potrebbero anche mancare (non è detto perché il Pd da solo a Montecitorio ha quasi la maggioranza assoluta).
E’ evidente, altresì, che fermare i lavori produrrebbe un doppio danno istituzionale e politico. Il primo è quello più importante ed è quello che più interessa alla linea di questo blog. Un parlamento che si blocca in maniera plateale e inaudita per una vicenda giudiziaria privata, quando neppure ventiquattro ore prima il paese ha subito l’ennessimo, drammatico declassamento economico, costituirebbe un colpo difficilmente rimediabile alla credibilità dell’istituzione. E’ per questo che l’attività deve proseguire, magari trovando un accordo tacito con le opposizioni, magari con i deputati democratici che si iscrivono a parlare in massa sul complesso degli emendamenti del Dl Ilva evitando di votare, oppure mettendo all’ordine del giorno qualche mozione non pericolosa, ma le porte del parlamento non possono e non devono rimanere sbarrate.
L’altro danno è politico, e ovviamente riguarda il premier Letta che perde ogni credibilità ed ogni parvenza di autonomia, dopo che solo ieri sera dichiarava che le vicende di Berlusconi non avrebbero avuto ricadute sull’esecutivo.
Ci permettiamo, infine di dire, che di fronte ad una simile situazione non si può permettere il silenzio il vero garante di questa legislatura.