giovedì 30 maggio 2013

COSA HA APPROVATO LA CAMERA SULLE RIFORME


La Camera (ed anche il Senato) ha approvato una mozione che non ha a che fare con le riforme, ma con lo strumento con cui realizzarle. Il governo, infatti, dovrà presentare una legge costituzionale da approvare secondo le procedure previste dall’articolo 138 (quindi doppia lettura in entrambe le camere) che consentirà di approvare le vere riforme costituzionali derogando in parte alle procedure previste dallo stesso articolo 138. Sembra uno scioglilingua, ma è così.
Cosa comporta questo? Intanto che i famosi 18 mesi che il governo Letta si è dato inizieranno a decorrere solo dall’approvazione di questa legge costituzionale, che potremmo definire di scopo. Considerato che siamo già al 30 maggio, considerato, a voler essere velocissimi, che il governo vari la legge nel consiglio dei ministri del 7 giugno, sempre a voler bruciare le tappe la prima lettura da parte di entrambe le camere non arriverà prima del 5 luglio. Poiché l’articolo 138 impone tre mesi di tempo tra la prima e la seconda lettura, l’approvazione definitiva della legge costituzionale non arriverà presumibilmente prima del 5 ottobre. E’ da questo momento che decorreranno i 18 mesi che il governo si è dato, perché solo da quel momento si inizierà a studiare ed elaborare la riforma costituzionale vera e propria.
Altro aspetto interessante e possibile, è che stando al testo della mozione, la legge costituzionale che il governo si appresta a varare potrebbe non prevedere che le riforme vere e proprie vengano fatte con doppia lettura.
Il testo della mozione approvata alla Camera

mercoledì 29 maggio 2013

LA MOZIONE "ABUSIVA" DI GIACHETTI SULLA LEGGE ELETTORALE



Nelle aule di Camera e Senato si è avviato il dibattito sulla riforma costituzionale. In realtà sarebbe più opportuno dire che i dibattiti odierni sono prodromici alla riforma vera e propria e le mozioni presentate, a parte quella del Movimento 5 Stelle,  non hanno come oggetto le riforme ma gli strumenti con cui farle.
E’ tale l’ansia di riforme che, almeno a Montecitorio non manca qualche cortocircuito. Il primo riguarda la mozione a prima firma Giachetti che per quanto la si possa giudicare meritoria o meno dal punto di vista politico, se si guarda al contenuto probabilmente non avrebbe dovuto essere abbinata alle altre.
L’ordine del giorno parla di mozioni concernenti l’avvio delle riforme costituzionali, e i testi presentati su questo vertono, o meglio, vertono in particolare sul percorso da seguire e sugli strumenti con cui realizzarle. La mozione Giachetti, sottoscritta da un centinaio di Deputati , invece impegna la Camera ad approvare in tempi brevi una riforma della legge elettorale, sostituendo il porcellum con il Mattarellum, non fa invece cenno alcuno alle riforme costituzionali.
Ergo l’abbinamento di questo testo agli altri è figlio di una valutazione a dir poco generosa, e alquanto inusuale, da parte dei funzionari della Camera e, forse, della stessa Presidente.

venerdì 17 maggio 2013

LA PROROGA SUGLI OPG LA PAGANO ANCORA GLI EMOTRASFUSI E I TALASSEMICI




Incredibile ma vero, eppure nel decreto in materia sanitaria all’esame dell’aula della Camera si perpetua una norma che aveva fatto molto scalpore quando venne alla luce nel febbraio del 2012. La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, disposta con il decreto 211 del 2011, ribattezzato all’epoca “svuota carceri” fu finanziata in gran parte attraverso il taglio di 24 milioni annui al fondo per i risarcimenti agli emotrasfusi, ai talassemici e ai danneggiati da vaccinazioni.
La proroga inserita nel decreto legge 24 del 2013 che sposta ad Aprile 2014 il termine per la chiusura degli OPG, il cui costo è stimato 4,5 milioni per il 2013 e 1,5 per il 2014, è finanziata sempre con le stesse coperture della norma precedente, tra le quali il fondo per i danneggiati dalle trasfusioni, come stabilisce il comma 3 dell’articolo 1 del decreto Balduzzi.
La vicenda desta una certa sorpresa, al di là dell’importo delle coperture, per il principio. Infatti nel febbraio 2012 ci fu scalpore per il fatto che il governo tagliasse un fondo come quello dei risarcimenti per le trasfusioni da sangue infetto. La ministra Severino, all’epoca, si giustifico sostenendo che non si poteva fare altrimenti e il governo accolse un ordine del giorno (9/4909/45) in cui si impegnava a rifinanziare tale fondo.
Promessa non mantenuta doppiamente, perché non solo il fondo non è stato rifinanziato, ma sempre lo stesso governo con uno dei suoi ultimi atti ha deciso di attingere ulteriormente, seppure per una cifra inferiore sempre dal fondo per i danneggiati da sangue infetto.
Stupisce il fatto che nessuno dei nuovi deputati, M5S compresi, se ne sia accorto visto che nessuno ha detto una parola nel corso dell’esame in commissione in questo senso, e considerato il fatto che ora i tempi stretti per la conversione non consentiranno ulteriori modifiche al Senato. Ovviamente la questione la giriamo al neoministro Lorenzin.

giovedì 16 maggio 2013

LA KYENGE STRUMENTALIZZATA (NEL BENE E NEL MALE) ANCHE NEL QUESTION TIME


 
La ministra Cecile Kyenge, suo malgrado e al di là della sua attività, è divenuta una sorta di vessillo da sventolare in maniera strumentale a favore o contro il governo. Questa condizione è emersa plasticamente nel corso del question time di ieri alla Camera, ed in particolare nello svolgimento di due interrogazioni a lei rivolte da Sel e dalla Lega.
Nel primo caso l’on. Pilozzi ha rivolto al ministro una domanda molto specifica, quali iniziative intenda adottare il governo per facilitare il riconoscimento della cittadinanza in particolare prevedendo interventi incentrati sul principio dello ius soli.
La Ministra Kyenge, come sovente capita nei question time, ha fornito una risposta molto vaga e generica (ovviamente preparata dagli uffici). Come si può vedere dal resoconto di seguito riportato, prima ha snocciolato una serie di dati sull’immigrazione in italia e le richieste di cittadinanza. Quindi ha sottolineato di non aver ancora avuto deleghe da parte del governo sul tema e che comunque la sua azione sarà in linea con gli indirizzi del governo stesso. Ed infine si è di fatto rimessa all’attività che sarà svolta dal parlamento dove sono state presentate diverse proposte di legge in materia di cittadinanza. Dato non trascurabile, la ministra non ha mai pronunciato le parole Ius Soli.
Tenuto conto della lunga prassi dei question time, e soprattutto del fatto che l’interrogazione era rivolta da una forza di opposizione al governo, c’erano tutti i presupposti per aspettarsi una replica infuocata e polemica dell’interrogante. A sorpresa invece Pilozzi si dichiara soddisfatto e addirittura di apprezzare le parole e gli impegni (che non ci sono stati) assunti dalla Ministra.
L’interrogazione del leghista Molteni, rappresenta invece il caso opposto. Prendendo spunto dai tragici fatti di Milano, la Lega ha chiesto (nel testo scritto che è quello al quale il ministro si attiene per la risposta) se il ministro ritenga una priorità la chiusura dei Cie, l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina e la modifica della normativa in materia di cittadinanza. Temi in gran parte non di pertinenza della Kyenge, come ha sottolineato nella risposta, e che sono stati strumentalizzati ancora di più dall’interrogante sottolineando di non aver sentito parole di sdegno e solidarietà da parte della ministra. Alle risposte generiche ma corrette, perché non potevano essere altrimenti, da parte della Kyenge, Molteni in replica ha rincarato la dose polemica in maniera assolutamente strumentale. 
Resoconto stenografico del question time di mercoledi 15 maggio 2013

mercoledì 15 maggio 2013

LA CAMERA RICONOSCE LE COPPIE GAY VITTORIA DI CIVILTA' (SE NON RIMANE UN PRIVILEGIO)


 
Nella seduta di ieri l’ufficio di presidenza della Camera ha assunto una decisione a suo modo storica, quella di riconoscere l’allargamento dell’assistenza integrativa ai compagni dello stesso sesso dei deputati. La Camera era già antesignana in questo senso riconoscendo, sempre in tema di assistenza integrativa, le così dette coppie di fatto. Ieri è stato compiuto un ulteriore passo avanti.
Di fatto con la decisione di ieri la Camera dei deputati ha riconosciuto ufficialmente la legittimità delle coppie Gay. Questo da un lato, sempre in via di principio è certamente un bene, a patto però che non si traduca in privilegio esclusivamente per quelle coppie gay nelle quali uno dei due membri è un deputato o deputata.
Bene ha fatto il deputato Ivan Scalfarotto, come nelle precedente legislatura aveva fatto Paola Concia, a sollecitare l’ufficio di presidenza di Montecitorio a prendere una decisione sul tema. A questo punto però, sarebbe un segnale di coerenza se tutti i membri dell’ufficio di presidenza che hanno votato a favore della delibera sottoscrivessero congiuntamente una proposta di legge per riconoscere i diritti delle coppie omosessuali anche al di fuori delle mura di Montecitorio. In questo senso la posizione assunta dal Movimento 5 stelle è apparsa senza dubbio la più coerente.
 
Poiché sui giornali di oggi si parla vagamente di come funziona l’assistenza sanitaria integrativa dei deputati proviamo a dare qualche informazione. Ogni deputato si vede trattenere dalla busta paga mensile 526,66 euro al mese più 100 euro per ogni familiare indicato. Va detto però che queste cifre vengono ritenute sul lordo dell’indennità, ovvero sui circa 10.435 euro e non sul netto ovvero i circa 5000 euro in busta.
Per quanto riguarda poi l’assistenza sanitaria si procede ad un rimborso delle prestazioni mediche dichiarate dal deputato nel rispetto di un tariffario molto dettagliato. Facciamo alcuni esempi per il dentista (odontomastologia) è previsto un plafond di 23240,56 euro a nucleo familiare per l’intera legislatura.
Per gli occhiali non si può spendere più di 350 euro annui a familiare, mentre per le protesi acustiche è previsto un rimborso annuo di 3.500 euro a familiare. Per le visite specialistiche è previsto un rimborso di 150 euro a visita, mentre per le analisi cliniche è previsto un tetto pari all’80% della spesa sostenuta fino a 1860 euro annui ad iscritto.

martedì 7 maggio 2013

ANCHE L'ORDINE DEI LAVORI DIVENTA CAMPO DI BATTAGLIA




L’intervento sull’ordine dei lavori è da sempre alla Camera lo strumento regolamentare per consentire ai peones di intervenire sulla qualunque nel finale della seduta, dopo che sono stati esauriti tutti gli argomenti all’ordine del giorno. Si interviene per segnalare ricorrenze più o meno note, per sollecitare al governo la risposta ad atti di sindacato ispettivo, ecc. ecc. Una piccola finestra utile a dimostrare, lasciandolo agli atti, l’attento interesse del deputato per questioni attinenti al territorio d’elezione e al suo elettorato. Una procedura che si è sempre svolta senza problemi nel rumore dell’aula che si svuota e con la sofferenza del malcapitato presidente di turno che deve ascoltare fino all’ultimo intervento.
In questa legislatura anche l’intervento sull’ordine dei lavori sta divenendo una sorta di campo di battaglia fisso. Fisso anche uno dei contendenti, i deputati cinque stelle che non lesinano interventi anche con alto tasso di polemica politica. Assiduità anche dall’altra parte della barricata con il delegato d’aula del PD Ettore Rosato, che sovente si erge a fustigatore. Nella seduta di ieri ennesimo scontro, con Rosato che chiede al Presidente di far rispettare il regolamento, protestando per un intervento relativo alle dichiarazioni del Ministro Zanonato sul nucleare, e con il deputato cinque stelle Tofalo che si domanda se Rosato abbia impegni pressanti per cena.
Vedendola da fuori hanno un po’ tutti ragione e un po’ tutti torto. Certamente i deputati cinque stelle se proprio non vogliono ridurre il numero dei copiosi interventi sull’ordine dei lavori, potrebbero in alcuni casi moderare un po’la foga oratoria e attenersi al tema previsto dai regolamenti. Dall’altro però, ed in particolare da parte del delegato d’aula Pd, è evidente una eccessiva rigidità che negli anni precedenti non s’è mai vista e soprattutto negli interventi a fine seduta. Ieri ad esempio la staffilata di Rosato è stata gratuita, anche perché ci aveva già pensato il Presidente di turno a suggerire il ricorso ad un atto di sindacato ispettivo. 

Di seguito il resoconoto delle ultime fasi della seduta di ieri

L'ESAME E LE RISOLUZIONI SUL DEF ALLA CAMERA





Dopo la discussione generale di ieri, oggi la Camera concluderà l’esame del Documento di economia e finanza (Def). Un atto che, riguardando un documento elaborato e presentato da un governo che non c’è più, può essere definito un formalismo indispensabile e molto importante, come è emerso tra l’altro dal breve intervento svolto dal Ministro dell’Economia Saccomanni.
Il governo Letta a giorni varerà una nota di aggiornamento al Def, propedeutica all’individuazione degli strumenti necessari per realizzare alcune delle priorità indicate nel discorso programmatico. Allo stesso tempo, però, l’approvazione del Def a saldi invariati, in particolare per quanto riguarda il rapporto deficit-pil, per la chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia.
Tecnicamente è bene chiarire che il Def è inemendabile, è un documento che si approva e si respinge in blocco attraverso la presentazione di una risoluzione (un atto di indirizzo formalmente identico ad una mozione ma più cogente nel dispositivo). Le risoluzioni presentate sono tre. Una della maggioranza a firma dei capigruppo di Pd, Pdl, Scelta Civica e Misto, una del Movimento 5 stelle, ed una di Sel.
La risoluzione di maggioranza impegna soprattutto il governo a rimodulare la destinazione delle risorse a disposizione nel rispetto dei saldi di finanza pubblica e degli impegni assunti a livello europeo sugli stessi, e ad individuare gli impegni più urgenti per dare attuazione al programma di governo esposto dal premier Letta in occasione della fiducia.
Le due risoluzioni delle opposizioni sono ovviamente molto più estese e di fatto nel dispositivo propongono un programma economico alternativo a quello del governo Letta.

venerdì 3 maggio 2013

POCO FEELING TRA BOLDRINI E L'UFFICIO DI PRESIDENZA




La pubblicazione dei primi resoconti dell’Ufficio di Presidenza della Camera (anche con l’abituale ritardo che li caratterizza) riserva sorprese interessanti ad una lettura attenta. I resoconti disponibili riguardano le prime riunioni svolte nel mese di marzo e il dato interessante che emerge è una certa resistenza, ed in alcuni casi velata insofferenza, dei membri dell’Udp di Montecitorio nei confronti delle proposte avanzate dalla presidente Boldrini. Resistenza che in alcuni casi porta a rinviare decisioni sui temi posti all’ordine del giorno, ed in altri a limitare la portata delle delibere proposte.
Si prenda ad esempio la questione degli alloggi di servizio riservati alle alte cariche di Montecitorio. La Presidente Boldrini, nella seduta del 28 marzo, propone da un lato la rinuncia da parte degli aventi diritto e dall’altro la destinazione di questi appartamenti ad un non meglio precisato “uso sociale”. Se sul primo punto tutti concordano sulla seconda parte della proposta, invero non molto chiara, arrivano inevitabili i distinguo. C’è chi propone di restituirli al demanio, chi di concederli in uso dietro pagamento, ma la larga maggioranza dei membri presenti ritengono tecnicamente complicata “la destinazione ad uso sociale” proposta dal presidente. Esito finale stop immediato all’uso degli alloggi e rinvio della decisione sull’uso alternativo che ne verrà fatto.
Sulla proposta di tagliare del 30% le spese relative al personale di segreteria dei membri dell’ufficio di presidenza va in scena quella che si può definire la rivolta dei segretari d’aula, ovvero coloro che all’interno dell’Udp hanno una segreteria più ristretta rispetto ai colleghi. La prima ad esprimere perplessità è Anna Margherita Miotto (Pd), seguita da Adornato, Lupi, Pes, Caparini e soprattutto Bocci che chiede di poter disporre di maggiori elementi conoscitivi e di un quadro di riforma più organico per poter decidere. Alle varie obiezioni sollevate la Boldrini sbotta (ed il fatto che questo elemento si percepisca dal resoconto sommario che, come noto, è edulcorato e aggiustato rispetto agli stenografici che non sono pubblici, è un elemento rilevante) sostenendo che le intenzioni della presidenza erano già state rese note da tempo e che quindi non si giustificavano le richieste di rinvio. Esito finale, la decisione sul punto è rinviata ad altra seduta.
Per la cronaca nella seduta successiva del 2 aprile il taglio sui costi del personale di segreteria viene operato ma pari al 25% e non del 30% come inizialmente proposto. Inoltre per questa delibera, come per le altre, della stessa seduta non sono disponibili ancora i resoconti, ma solo le notizie pubblicate dalle agenzie di stampa che, come noto, sovente divergono e di molto dai documenti approvati.

giovedì 2 maggio 2013

BUFERA IN VISTA PER IL NUOVO VICE PRESIDENTE DI MONTECITORIO


 
La nomina di Maurizio Lupi a Ministro delle infrastrutture e trasporti del governo Letta, costringerà la Camera dei Deputati ad eleggere entro breve un nuovo vice presidente, carica che è stata lasciata momentaneamente vacante.
L’articolo 5 del regolamento di Montecitorio prescrive che i vice presidenti debbano essere quattro e fino ad oggi la prassi ha previsto che due fossero espressi dalla maggioranza e due dall’opposizione.
Le dimissioni di Lupi hanno posto le premesse per lo scoppio di ulteriori polemiche. Quando l’ufficio di presidenza è stato eletto nella seconda seduta della Camera la prassi era stata rispettata perché pur non essendoci ancora un governo, due vice presidenti furono attribuiti al Pd, partito maggioritario a Montecitorio, ed uno ciascuno a Pdl e M5S, che presuntivamente si sarebbero dovute collocare all’opposizione.
La nascita del governo Letta ha invece scompaginato la geografia politica della Camera dando vita ad una maggioranza amplissima composta da Pd e Pdl (più Scelta Civica). Prassi vorrebbe che, dovendo appunto eleggere un nuovo Vice presidente, questo fosse espresso dall’opposizione (M5S, Sel, Lega, Fdi), prassi che andrebbe rispettata a maggior ragione a fronte di una maggioranza numerica assai vasta.
Il problema si pone nel fatto che il Pdl è oggettivamente sotto rappresentato nell’ufficio di Presidenza, disponendo solo di due membri (Lupi compreso), tema già sollevato dal gruppo (vedi post del 12 aprile E IL PDL TENTA IL BLITZ PER AVERE UN SEGRETARIO D'AULA IN PIU'). Premesso che per la composizione dell’Ufficio di Presidenza non valgono criteri di proporzionalità, è comunque difficile pensare che il Pdl accetti di rimanere con un solo rappresentante in Udp, il Questore Fontana, se la vice presidenza nuova fosse assegnata all’opposizione.
Prevista dunque polemica a Montecitorio che spetterà al Presidente Boldrini cercare di dirimere con la moral suasion. Previste nuove spine per il Pd che sarà costretto a far eleggere con i suoi voti un vice presidente del Pdl a fronte di un candidato M5S o addirittura di Sel.
Per rendere completo il quadro si può anticipare che qualcuno si appellerà alla situazione verificatasi nello scorcio di legislatura del governo Monti, dove tutti i vice presidenti erano espressione di forze che sostenevano il governo. A nostro avviso l’obiezione non ha ragione di essere perché in quel caso si trattava appunto di uno scorcio di legislatura, mentre quella attuale concretamente si sta avviando solo ora. Inoltre il governo Monti era un esecutivo tecnico sostenuto esternamente da alcune forze politiche. Al contrario il governo Letta è un esecutivo politico con Ministri politici, come appunto Lupi e molti altri.
Delle due l’una o si batte in testa all’opposizione e si procede con la forza dei numeri, oppure si cerca di arrivare informalmente ad un riequilibrio della composizione dell’Ufficio di Presidenza cercando di tenere insieme regolamento, prassi e di non porre nuovi precedenti.