lunedì 31 marzo 2014

LA RONCOLA DELLA BOSCHI CONTRO GRASSO



Maria Elena Boschi si è accorta di essere stata nominata ministro della Repubblica? Il dubbio sorge dopo aver letto la sua intervista odierna a l’Unità, nella quale riserva alcuni passaggi tanto ruvidi e scomposti nei confronti del Presidente del Senato, da far pensare ad un vero e proprio scontro istituzionale. Un conto infatti è parlare alla Leopolda, un altro è esprimere giudizi, pur nella non condivisione politica, sulle tesi espresse dalla seconda carica dello stato su un tema istituzionale come quello della riforma del Senato.
La roncola verbale che usa l’angelica ministra risalta ancora di se si compara la sua intervista a quella, sempre di oggi, dello stesso Renzi. Il premier nella sostanza non le manda certo a dire al Presidente del Senato, ma sta bene attento ai termini che utilizza concedendosi solo la velenosa accusa di lanciare "avvertimenti", che rivolta ad un siciliano non è certamente casuale.
Inoltre nel comparare le due interviste si vede bene come la Boschi cada nell’errore peggiore che i collaboratori di un leader possano compiere: quello di ripetere a pappagallo alcune sue frasi forti.
Ma vediamo nel merito cosa dice la Boschi a Grasso:
(Grasso) avanza una proposta intermedia che rischia di fare ammuina, di far finta che cambi qualcosa per lasciare le cose come stanno”
Di fatto da del gattopardo al Presidente del Senato.
La Boschi prosegue sostenendo che la riforma del Senato era nel programma delle primarie di Renzi e dunque è stata votata da milioni di elettori, e aggiunge “Anche il Presidente Grasso, come me, del resto è in parlamento grazie al Pd
In questo passaggio la Boschi confonde i circa tre milioni delle primarie (la cui larga parte ha votato per Renzi, ma una parte ha votato per gli altri candidati) con i voti ottenuti dal Pd alle elezioni. Ma il programma elettorale era diverso da quello delle primarie. Inoltre il richiamo alla disciplina di partito per il presidente del Senato è doppiamente improprio. Primo perché in quanto tale deve essere una figura di garanzia. Secondo perché il Presidente non vota. Dunque il richiamo a rispettare le decisioni in questo caso riguarda le opinioni?
La Boschi non paga prosegue sostenendo che in senato ci sono le condizioni politiche per approvare la riforma, ma se il primo a rallentare è proprio il Presidente del Senato non si capisce più quale sia la causa e quale l’effetto. E aggiunge “Cerchiamo di essere seri e di rispondere ai cittadini”
Dunque da ciò si potrebbe dedurre che per il Ministro la condotta di Grasso non sia seria?
Sull’opportunità che il Presidente del Senato si pronunci su un tema di rilievo che sarà oggetto di dibattito e voto nell’aula che presiede se ne può discutere. Ovviamente si può legittimamente non essere per nulla d’accordo con quanto detto da Grasso in merito al Senato elettivo.  Però tanta ruvidezza istituzionale e politica da parte di un ministro nei confronti di uno dei presidenti di assemblea è difficile da ricordare, e l’unico episodio che ci viene alla mente (anche se quello fu ben peggiore) fu il vaffa dell’allora ministro Larussa nei confronti di Fini nell’aula della Camera la scorsa legislatura.

giovedì 27 marzo 2014

IL DOPPIO INCARICO, SUO MALGRADO, DELLA BOSCHI MINISTRO E SEGRETARIO DI COMMISSIONE


Di anomalie nel corso di questo primo anno di legislatura se ne sono già viste molte. A queste se ne è aggiunta un'altra a partire dalla formazione del governo Renzi, che riguarda la Commissione Affari Costituzionali.
Se si va a guardare la composizione dell'ufficio di presidenza della commissione, uno dei due segretari risulta essere Maria Elena Boschi che ormai da più di un mese, però, è anche Ministro del governo.
Quando un deputato assume un incarico di governo nel giro di pochi giorni il suo gruppo di appartenenza provvede a sostituirlo con un altro deputato all'interno della commissione di cui era membro. Questo nell'interesse del gruppo stesso per evitare di poter contare su un membro effettivo in meno visto che i componenti del governo non seguono i lavori di commissione (nel senso che quando vanno i commissione rappresentano il governo). Non solo il Pd non ha provveduto a sostituire la Boschi, ma neppure la Commissione e il suo Presidente Sisto sembrano essersi accorti della necessità di dover eleggere un nuovo deputato segretario. Questo secondo aspetto, a differenza del primo che è una scelta che attiene solo al gruppo del Pd, attiene al rispetto del regolamento e della stessa validità dei lavori della Commissione in caso di votazioni.
L'articolo 20, comma 1, del regolamento della Camera, prevede che le commissioni si costituiscono a seguito dell'elezione del proprio ufficio di presidenza che è composto da un presidente, due vice e due segretari.
Di fatto non esiste una norma del regolamento che preveda un'incompatibilità tra la carica di membro dell'ufficio di presidenza della Camera o di una commissione e la carica di ministro, ma l'incompatibilità è prevista dalla prassi (per quanto riguarda l'ufficio di Presidenza della Camera Lupi si è dimesso dalla carica di vice presidente dopo la nomina a ministro del governo Letta, e lo stesso ha fatto Giampiero Bocci, dimettendosi dalla carica di segretario d'aula dopo essere stato nominato sottosegretario).
I deputati segretari di commissione hanno il compito istituzionale di tenere il conto dei voti favorevoli e contrari quando si vota in commissione, e dunque di vigilare sulla correttezza della votazione stessa (art.21 comma 2).
In via di fatto ad oggi la Commissione Affari Costituzionali dispone effettivamente di un solo deputato segretario. Ciò significa che potrebbe verificarsi il caso in cui l'unico segretario effettivo sia assente ad esempio per un'influenza, il Ministro Boschi assente per impegni di governo, e la commissione debba votare, magari in sede referente. In questo caso, ovviamente se richiesto da uno dei gruppi o anche da un singolo deputato, la commissione a norma di regolamento non potrebbe procedere a votazioni, pena la loro palese invalidità.
La Boschi, ovviamente, in questo caso non ha alcuna colpa, non sappiamo, però, perchè nè Sisto, nè gli uffici si siano posti il problema anche di semplice rispetto delle forme istituzionali, eppure basterebbe poco, dieci minuti al massimo ad eleggere un nuovo segretario della commissione affari costituzionali.

mercoledì 26 marzo 2014

ALLA CAMERA PER APPROVARE PRIMA POSSIBILE UN DDL LO RINVIANO ALLA PROSSIMA SETTIMANA



Per approvare il prima possibile il disegno di legge sul voto di scambio politico mafioso e la legge delega sulle pene alternative al Carcere la Camera ha deciso di rinviare l’esame di questi provvedimenti alla prossima settimana. Messa così sembrerebbe un controsenso la proposta avanzata dal partito Democratico e votata dall’aula di Montecitorio, ma non lo è alla luce del regolamento.
I due disegni di legge oggi all’ordine del giorno, per il combinato disposto dell’articolo 24, comma 12 ed articolo 49 comma 1, del regolamento della Camera, vertono su argomenti per i quali non è previsto il contingentamento dei. Il che significa che teoricamente l’esame non ha limiti di tempo massimi da rispettare. Il contingentamento è però previsto se l’esame dei disegni di legge, come i due in oggetto, si svolge a cavallo di due diversi calendari.
Poiché la discussione generale sul voto di scambio politico mafioso e sulla legge delega sulle pene alternative al carcere si è svolta in questo calendario del mese di marzo, e il rinvio alla prossima settimana, chiesto e ottenuto dal Pd, lo farebbe proseguire nel calendario di aprile, da martedì prossimo saranno applicati tempi contingentati. Ciò significa che Forza Italia e Lega che hanno annunciato ostruzionismo, avranno comunque un limite di tempo oltre il quale non potranno andare nel loro tentativo di tirare alle lunghe i lavori.
Se la richiesta avanzata dal Deputato Rosato, a nome del Pd, e approvata dalla maggioranza ha una suo logica, non significa che sia condivisibile in linea di principio. Il passaggio all’esame dei successivi argomenti all’ordine del giorno sarebbe stato comprensibile se, in coda ai due provvedimenti rinviati, vi fossero disegni di legge di rilievo. Invece ci sono soltanto mozioni, e le mozioni, con tutto il rispetto lasciano il tempo che trovano.
La maggioranza poteva invece sfidare chi voleva fare ostruzionismo, magari prevedendo una seduta fiume ininterrotta che si svolgesse per tutta la notte. Certamente sarebbe stato fisicamente pesante, sia per la maggioranza che per l’opposizione. E dunque viene il dubbio che il rinvio sia stato un’escamotage per prendere i classici due piccioni con una fava, e tra i due piccioni vi è quello di evitarsi la clamorosa scocciatura di passare 48 ore ininterrotte sui banchi di Montecitorio.

martedì 25 marzo 2014

COSA SI VOTA QUESTA SETTIMANA ALLA CAMERA



Settimana di transizione quella di lavoro che oggi entra nel vivo alla Camera. I provvedimenti all’ordine del giorno sono molto numerosi, ma non essendovi tra loro provvedimenti del governo, si possono considerare non di primissima fascia.
Questa settimana, almeno secondo i piani, doveva vedere l’approdo in aula del salva Roma ter, che invece è rimasto all’esame delle commissioni bilancio e finanze.
Spazio dunque ad una lunga serie di disegni di legge di iniziativa parlamentare, tra i quali spiccano in particolare quelli sullo scambio politico-mafioso che torna in terza lettura dal Senato e il ddl sulle così dette dimissioni in bianco.
Oggi però si parte con le mozioni relative agli eventi alluvionali che hanno colpito il Veneto e l’Emilia Romagna. Quindi è la volta del ddl sulle dimissioni in bianco. 
Al terzo punto dell’ordine del giorno vi è poi l’autorizzazione a procedere in giudizio richiesta dal così detto tribunale dei ministri della corte d’Appello di Milano nei confronti di Vittoria Brambilla, ministro del turismo all’epoca dei fatti.
La Brambilla è accusata di aver fatto un uso improprio di un elicottero dei Carabinieri per intervenire a due eventi pubblici. La relazionepreparata dalla giunta per le autorizzazioni chiederà all’aula di respingere la richiesta di autorizzazione a procedere ( va segnalato che anche la procura di Milano aveva chiesto l’archiviazione della denuncia nei confronti dell’allora ministro Brambilla).
La giornata di oggi dovrebbe chiudersi con questo punto e quindi dovrebbe slittare a domani la proposta di legge sullo scambio politicomafioso, tema sul quale si registra il forte dissenso di Forza Italia che ha presentato moltissimi emendamenti e si prepara a dar vita all’ostruzionismo in aula.
A seguire c’è il disegno di legge delega sulle pene detentive non carcerarie e un grappolo di mozioni, che probabilmente in gran parte slitteranno alle prossime settimane sugli argomenti più disparati, dai parametri sul deficit pubblico, alla parità di genere nello sport, dal sostegno al settore del turismo ai recenti terremoti verificatisi in Campania e nella provincia di Campobasso.  

venerdì 21 marzo 2014

UN'INTERPELLANZA SMASCHERA IL GOVERNO SULLA SPENDING REVIEW



Rispondendo questa mattina alla Camera ad un’interpellanzapresentata dal gruppo 5 stelle, a prima firma del deputato Cozzolino, il governo ha ammesso ufficialmente che ad oggi in tema di spending review non può fornire un dato certo sui risparmi attesi per il 2014 e, ovviamente per gli anni successivi.
In primo luogo va sottolineato come nessuno del Ministero dell’Economia e delle Finanze si sia presentato a Montecitorio per rispondere non solo a questa ma anche  ad altre due interpellanze. Una scorrettezza abbastanza istituzionale abbastanza grave nei confronti degli interroganti e della Camera per nulla rimarcata dal presidente di turno di Maio.
Nella risposta letta da un sottosegretario alle infrastrutture, il governo mette agli atti del Parlamento che il piano Cottarelli è una semplice bozza e che dunque si deve considerare una semplice traccia di lavoro. Quindi dichiara “Esiste, quindi, per l'anno in corso, un range tra i 3 e i 5 miliardi su 8 mesi all'interno del quale, come precisato dallo stesso dottor Cottarelli nella sua replica dinanzi alla Commissione bilancio del Senato, spetterà al Governo, come è ovvio che sia, decidere dove posizionarsi. In tali decisioni, come ha ribadito solo mercoledì scorso il Presidente del Consiglio in quest'Aula, il Parlamento sarà pienamente coinvolto, nelle sedi e con le modalità opportune”.  Range…il parlamento sarà coinvolto..il governo deve decidere dove posizionarsi..Equilibrismi verbali che alla domanda posta di avere un dato certo sulle risorse attese per quest’anno risponde “Non siamo in grado di fornirle”.
Buio da parte del governo anche per quanto riguarda le risorse che dovranno provenire dalla spending review ma non saranno utilizzabili perché già accantonate: “Anche in questo caso, dunque, una valutazione compiuta delle risorse, che sarà possibile destinare a misure di altra natura, deve necessariamente essere rinviata ad una fase più avanzata di definizione degli interventi di revisione della spesa da parte del Governo.
A giudicare dalla risposta fornita oggi dal governo, gli 80 euro in busta previsti per maggio, pochi o tanti che siano, più che una promessa sono, almeno per ora un miraggio.

giovedì 20 marzo 2014

PER L'ITALIA SOTTO I 20 DEPUTATI DA UN MESE, MA ALLA CAMERA NESSUNO SE NE E' ACCORTO



Il gruppo parlamentare “Per L’Italia”, costituitosi alla Camera a seguito della scissione di alcuni deputati da Scelta Civica, dal 12 febbraio scorso è composto da “soli” 19 membri. La fuoriuscita del Deputato Stefano Quintarelli, tornatosene nel gruppo di Scelta Civica, ha determinato la discesa sotto la fatidica quota 20. Il Regolamento della Camera, all’articolo 14 comma 1, prevede infatti che un gruppo parlamentare possa essere costituito solo se formato da un minimo di 20 deputati. E 20 erano appunto i deputati che il 10 dicembre 2013 avevano rotto con Scelta Civica e dato vita a questo nuovo gruppo.
Ovviamente un gruppo parlamentare può anche essere costituito in deroga, come prevede il comma 2 dell’articolo 14, ovvero può nascere anche con meno di 20 deputati, a patto però che siano rispettate alcune regole. La prima è che la deroga deve essere richiesta esplicitamente all’ufficio di Presidenza. La seconda è che la deroga viene concessa sempre dall’Ufficio di Presidenza di Montecitorio se il gruppo è espressione di un partito politico che si è presentato alle elezioni con il proprio simbolo in un certo numero di circoscrizioni e ha ottenuto almeno 300.000 voti a livello nazionale od un quoziente in un collegio.
La costituzione in deroga a norma dell’articolo 14 comma 2 del Regolamento è quanto accaduto per il gruppo Fratelli d’Italia composto da soli 9 deputati. I deputati che poi hanno dato vita al gruppo avevano chiesto di ottenere una deroga e la concessione della deroga fu comunicata ufficialmente in aula nella seduta del 2 aprile 2013.
Invece per quanto riguarda il gruppo “Per l’Italia”, non ostante sia ormai da più di un mese sotto soglia di sopravvivenza nulla si è detto di ufficiale fino ad oggi. Le procedure prevedono infatti che, nel momento in cui un gruppo scende sotto soglia, la presidenza gli invii una comunicazione che annuncia la perdita del “diritto” all’esistenza in vita (a norma dell’articolo 14 comma 1). A fronte di questa comunicazione il gruppo interessato chiede una deroga, e l’ufficio di Presidenza decide se accettarla o meno. Le prime due comunicazioni non sono pubbliche, quindi non si può sapere se siano state formalizzate o meno. La concessione della deroga, però, viene annunciata in aula e questo ad oggi non si è ancora verificato. Tanto è vero che se si guarda la scheda del gruppo Per l’Italia (nel portale accessibile in intranet) si legge ancora la dicitura gruppo costituito ai sensi dell’articolo 14 comma 1, il che non è più valido.
Ovviamente, Per l’Italia non avrebbe alcun problema ad ottenere la deroga, a patto però che dichiari di essere espressione dell’Udc, ovvero un partito che risponde alle caratteristiche del comma 2 dell’articolo 14. Dentro al gruppo ci sono i deputati dell’Udc, ma non solo loro, visto che vi sono deputati eletti con Scelta Civica e che ora hanno dato vita alla nuova formazione di Per l’Italia. Chi sa se non sia proprio questo aspetto ad indurre qualcuno all’interno del gruppo di Per l’Italia a far finta che nulla sia accaduto.
Eppure un passaggio formale, da parte dell’ufficio di Presidenza deve esserci, come dimostra il precedente della XV legislatura relativo all’Italia dei Valori. Il 15 settembre 2006 l’IDV scese sotto quota 20 deputati. L’ufficio di Presidenza affrontò la questione il 27 settembre successivo, e il 28 settembre il presidente della Camera comunicò che l’intervenuto cambiamento nella composizione del gruppo non ne comportava lo scioglimento perché l’Idv rispondeva comunque ai requisiti previsti dall’articolo 14 comma 2.
Passaggio formale, dunque, ma che non può non esserci. E il fatto che non si sia ancora verificato costituisce un’altra anomalia di questa legislatura.