mercoledì 30 aprile 2014

QUANTO COSTA DAVVERO LA SPIGOLA DI BUONANNO? 826,32 euro



L'accusa che sovente si rivolge alla Camera dei Deputati è quella di non modificare procedure e prassi considerate ormai superate. Peccato però che i giornali e i giornalisti non sappiano ancora come funzionino davvero queste procedure, come dimostra il caso del "costo della spigola di Buonanno"
Oggi molti quotidiani si sono divertiti a fare il calcolo di quanto costerà al deputato leghista Gianluca Buonanno il primato di aver sventolato una spigola nell’aula di Montecitorio. Tutti riportano la cifra considerevole di 2600 euro, risultato ottenuto dalla moltiplicazione della quota giornaliera della diaria per i giorni di sospensione dai lavori d’aula. Il calcolo effettuato e la cifra pubblicata non è corretto, ma la cifra alla quale dovrà rinunciare Buonanno a seguito della sospensione irrogata, e che dunque può essere considerata come il conto della spigola, è inferiore e pari a 826,32 euro.
La sospensione irrogata a Buonanno, pari a 12 giorni totali, decorreva da oggi, 30 aprile. I giorni di sospensione però, come prassi, comprendono anche le giornate in cui non c’è seduta, come quelle dal 1 al 4 maggio, e quelle in cui non si vota, e dunque non si può perdere la diaria, come il lunedì e il venerdì. Va ricordato infatti che la diaria è conteggiata in un totale mensile di 3503,11 euro, dal quale eventualmente si detraggono i 206, 58 euro per ogni seduta nella quale il deputato ha partecipato a meno del 30% delle votazioni svolte in quella seduta.
Dunque alla fine della fiera i giorni effettivi di votazione (e come tali validi ai fini della decurtazione) della diaria che Buonanno perderà sono solo 4 (30 aprile, martedì 6 maggio, mercoledì 7 e, probabilmente, giovedì 8 maggio)

LA SETTIMANA INESISTENTE, CAUSA PONTE, DELLA COMMISSIONE AFFARI COSTITUZIONALI



Se, causa ponte del primo maggio, la settimana per l’aula di Montecitorio è stata corta, finendo oggi, per la commissione Affari Costituzionali della Camera è praticamente stata inesistente per quanto riguarda la seduta in plenaria.
L’ordine del giorno di inizio settimana prevedeva che la I commissione di Montecitorio svolgesse l’audizione del Ministro dell’Interno sulle linee programmatiche del suo ministero nella giornata di Martedì. Ulteriore audizione del commissario di governo per la spending review, Carlo Cottarelli, era prevista nella giornata di Mercoledì, e a seguire l’esame in referente di un tema importante come la legge sul conflitto d’interessi, la legge sull’accesso agli atti da parte dei parlamentari e, infine del provvedimento che propone di istituire una commissione d’inchiesta dei Cie.
Invece nulla di quanto in calendario è stato trattato. Prima è stata convocata la seduta di martedì, quella nella quale si prevedeva l’audizione di Alfano. La motivazione del richiamo alla prassi che prevede la sospensione dei lavori delle commissioni nel periodo che intercorre tra apposizione della questione di fiducia, che il governo ha posto in aula sul decreto droghe, e il voto di questa non è una valida giustificazione in questo caso. In primo luogo perché questa prassi riguarda soltanto le sedute in cui è previsto un voto della Commissione, e poi perché martedì scorso altre commissioni della Camera hanno lavorato svolgendo proprio audizioni.
Quindi quando è apparso chiaro che i lavori d’aula sarebbero terminati entro le 13 di oggi, il presidente della Commissione Sisto ha ritenuto di cancellare interamente anche la seduta odierna al fine di non costringere i deputati membri della Commissione a permanere qualche ora in più a Roma prima di godersi il meritato ponte della festa del lavoro.
La cancellazione delle due audizioni in programma ha prodotto una situazione nella quale, da quando il governo Renzi si è costituito, la commissione affari costituzionali non ha ancora ascoltato il programma del ministro di riferimento Alfano, che invece è già andato in Senato, e neppure quello di Cottarelli, che al Senato, invece, è già andato diverse volte.
Andando a guardare le statistiche delle sedute della prima commissione della Camera, un altro dato abbastanza clamoroso balza all’occhio. Da quando è nato il governo Renzi, non ha svolto neppure un question time in I commissione, poiché l’ultima seduta dedicata alle interrogazioni a risposta immediata risale a più di due mesi fa, niente meno che al 13 febbraio scorso, e questo nonostante il regolamento della Camera disponga che le interrogazioni a risposta immediata in commissione si debbano svolgere due volte al mese (art.135-ter comma 1)

martedì 29 aprile 2014

AUMENTATO IL FINANZIAMENTO AI PARTITI EUROPEI CON L'OK DEL NOSTRO GOVERNO



Gli stessi partiti che in Italia hanno abolito il finanziamento pubblico diretto ai partiti, a Bruxelles hanno invece votato tutti per confermarlo, renderlo più articolato e giuridicamente stabile. Il 16 aprile scorso, infatti, l’europarlamento ha approvato con 539 voti favorevoli e 103 contrari, il nuovo regolamento sul finanziamento ai partiti europei. I rappresentanti italiani a Bruxelles di tutti i gruppi hanno votato, come detto a favore, ma anche i governi sia Letta che Renzi, nell’iter che ha portato all’approvazione del regolamento hanno dato parere favorevole.
La notizia è stata data oggi nel corso di una conferenza stampa alla Camera dal mitico tesoriere dei Ds Ugo Sposetti e dall’attuale tesoriere di Sel Sergio Boccadutri, oltre che dall’eurodeputato Pd Roberto Gualtieri che ha seguito il provvedimento tra Strasburgo e Bruxelles. Ricollegandosi proprio a questo atto dell’europarlamento e del Consiglio Europeo che di fatto amplia il finanziamento pubblico attualmente previsto per i partiti europei, inserendolo però, in un quadro giuridico di controlli esterni e di trasparenza oltre che di democrazia interna ai partiti, annunciano di tornare nuovamente alla carica sul finanziamento pubblico nel nostro paese, traducendo in una proposta di legge il regolamento appena approvato.
Sposetti, che ha sempre condotto una battaglia a viso aperto contro l’abolizione del finanziamento pubblico, oggi ne ha approfittato per togliersi qualche sassolino nella scarpa. Sarcastico nei confronti di quei giornalisti che hanno fatto fortuna con articoli di fuoco sui costi della politica, ma che hanno completamente ignorato la recente delibera del Parlamento UE, e una punta di veleno nei confronti dell’attuale governo che ha dato parere favorevole al regolamento ma con la richiesta (un po’ ipocrita aggiungiamo) di rinviarne l’entrata in vigore al 2017, come ha rivelato Gualtieri.
I punti essenziali del regolamento approvato confermano un finanziamento pubblico diretto nei confronti dei partiti politici europei (15% uguale per tutti e 85% in proporzione ai dapetati), ma a leggere la relazione sembra di capire che questo finanziamento aumenti “La presente proposta…introdurrà la necessaria flessibilità rispetto ai metodi di lavoro e alle attività dei partiti politici e delle fondazioni politiche, in particolare, ma non solo, aumentando i livelli di prefinanziamento, riducendo i requisiti per il cofinanziamento, e consentendo la costituzione di riserve delle proprie risorse”. Il nuovo regolamento aumenta anche le donazioni ammissibili dai partiti per anno e per singolo donatore, portando il tetto a 18 mila euro (limite molto più basso di quanto previsto dall’attuale legge italiana che consente donazioni fino a 200 mila euro da persone fisiche e giuridiche). Ultimo punto di rilievo è il riconoscimento ai partiti di uno status giuridico europeo, altro elemento che la recente riforma del finanziamento non è riuscita ad introdurre.
Sposetti, che si è ironicamente paragonato all’ultimo giapponese nella foresta, ha annunciato battaglia e il problema (per chi non sarà d’accordo con lui) è che è sembrato in grandissima forma.

lunedì 28 aprile 2014

FACT CHECKING SU UN'AFFERMAZIONE DI RENZI



Seguendo l’intervista del premier Matteo Renzi nella trasmissione In Mezzora, tra le tante, una delle sue affermazioni ci ha particolarmente incuriosito. Ci riferiamo a quella relativa ai continui ricorsi alla corte costituzionale che il governo è costretto a presentare per difendere le proprie prerogative nei confronti delle regioni in base al riparto di competenze stabilito dall’articolo 117 della costituzione.
Renzi, spiegando i motivi per i quali è opportuno riformare l’attuale titolo V sulla base del progetto di legge di riforma costituzionale presentato dal governo, ha detto più o meno così: Ad ogni consiglio dei Ministri il ministro per gli affari regionali Lanzetta si alza e propone l’impugnativa di un certo numero di leggi regionali, e lo stesso fanno le regioni nei confronti del governo.
Visto che, anche a causa dei ponti del 25 aprile e 1 maggio, l’attività parlamentare segna il passo, siamo andati a verificare i verbali dei consigli dei ministri svolti fino ad oggi dal governo Renzi, e dalla loro lettura emerge che, come spesso gli capita il presidente del consiglio ha un po’ (molto esagerato).
Su 14 consigli dei ministri svolti, 7 sono stati quelli nei quali sono state prese in esame leggi approvate dalle regioni. Dunque nel 50% dei casi. Di queste 7 riunioni, solo in 5 si è deciso di procedere all’impugnativa di alcune leggi regionali.
Il dato che però da meglio l’idea dell’esagerazione del presidente del Consiglio, almeno fino ad oggi, è il dato delle impugnative sul totale delle leggi esaminate. 121 sono state le leggi delle regioni prese in esame dal governo e solo 8 (9.7%) quelle in merito al quale si è decisa l’impugnativa.

P.S. Che il titolo V vada revisionato è pacifico, come pure è un dato di fatto che la conflittualità sulle competenze tra governo centrale e regioni costituisce un problema sistemico che ha contribuito non poco ad ingolfare la macchina amministrativa. Il post ha solo operato un’istantanea tra un’affermazione del Presidente del Consiglio e i dati citati da lui in quell’affermazione.

giovedì 24 aprile 2014

IL FALLIMENTO DELLA SPENDING REVIEW -1,6 MILIARDI



Dalla lettura della relazione tecnica (il documento che quantifica coperture e spese) che accompagna il decreto legge sul bonus di 80 euro emergono una serie di sorprese che destano diverse perplessità. Quella più rilevante in questo senso riguarda il dato relativo alla così detta spending review. Il decreto la quantifica in 2,888 miliardi per il 2014, il che significa quasi 1 miliardo e 612 milioni di euro in meno rispetto a quanto previsto dallo stesso governo nel Def varato poche settimane fa, dove la stima era per l’anno in corso era di 4,5 miliardi di euro. Non solo, ma le cifre dei risparmi della spending che emergono dal decreto, sono anche inferiori, seppure di poco, alle stime più pessimistiche dello stesso commissario Cottarelli.
Altra sorpresa non positiva riguarda la tassa sui conti correnti bancari e sui libretti postali che aumenta dal 20 al 26 per cento. Misura, questa certificata, dalla relazione tecnica ma sulla quale il premier e il ministro dell’economia avevano sorvolato nella comunicazione del provvedimento.
Altro dato sorprendente riguarda il fatto che la relazione tecnica non prevede alcun risparmio per due norme manifesto di questo governo, come la dismissione delle auto blu e il tetto allo stipendio dei manager pubblici. Dunque a fronte di tanta pubblicità i risultati attesi sono molto scarsi, anzi a quanto risulta dalla relazione addirittura nulli.