mercoledì 25 febbraio 2015

DECRETO SULLA RAI E INTERVENTO DELLA PRESIDENTE BOLDRINI



Da diversi giorni si discute, e soprattutto si polemizza, sull’ipotesi che il governo proceda alla riforma della Rai per decreto legge. La polemica politica aveva impegnato da un lato il governo ed esponenti del partito democratico, dall’altro esponenti dell’opposizione. Ieri, però, si è registrato un salto di qualità con la presa di posizione molto netta della Presidente della Camera Laura Boldrini. La Presidente della Camera ha dichiarato che un decreto sulla Rai sarebbe privo dei requisiti di necessità e urgenza richiesti dalla Costituzione. Ovviamente le parole del presidente della Camera hanno suscitato la risposta piccata del partito democratico, che le ha ricordato che spetta al Capo dello Stato e non al Presidente di Montecitorio giudicare sulle prerogative costituzionali di un decreto legge.
Ad avviso di questo blog, per quello che vale, la posizione assunta dalla Presidente Boldrini è corretta e giustificata, se non latro, alla luce delle tesi utilizzate in questi giorni da coloro che ipotizzavano il ricorso ad un decreto legge.
Il Vice segretario del Pd Lorenzo Guerini ha ribadito più volte che l’eventuale ricorso ad un decreto legge sarebbe dipeso dal comportamento dimostrato dall’opposizione, il che ha poco senso. Il comportamento dell’opposizione nei confronti di un provvedimento, infatti, è conoscibile solo dopo che il provvedimento è stato varato e depositato in Parlamento, non è invece conoscibile in via preventiva.
Il Presidente del Consiglio Renzi, infatti, ha aggiustato il tiro rispetto alle parole di Guerini, affermando che il varo di un decreto legge sulla Rai si sarebbe imposto se l’opposizione avesse praticato forme ostruzionistiche  su tutti i provvedimenti attualmente in corso di esame, sostenendo che l’unico strumento per baypassare l’ostruzionismo è il decreto legge.
Anche questa posizione, però, è facilmente confutabile. Alla Camera dei Deputati, semmai, è vero il contrario. L’unico provvedimento per cui il regolamento non prevede il contingentamento dei tempi è proprio il decreto legge che, dunque, è facile preda delle tattiche ostruzionistiche. E’ proprio per questo che quando la Camera esamina un decreto il governo ricorre quasi sempre all’apposizione della questione di fiducia.
Al contrario i disegni di legge ordinari sono soggetti al contingentamento dei tempi. Questo significa che ogni gruppo ha un tempo limite per svolgere i propri interventi e illustrare i propri emendamenti. Scaduto quel tempo quel gruppo non può più parlare, se non con interventi brevissimi di un solo minuto (se concessi dalla presidenza).
A fronte di queste prese di posizione l’intervento della Presidente Boldrini non deve essere letto ovviamente come un tentativo di sostituirsi al Capo dello Stato, né tanto meno come una presa di posizione “politica”, bensì come un intervento a difesa delle prerogative della Camera dei Deputati, ed in questo senso è più che doveroso.

venerdì 20 febbraio 2015

IL MILLEPROROGHE APPROVATO DA POCHI INTIMI



L’aula della Camera ha approvato oggi il decreto milleproroghe. Al di là del contenuto e della natura del provvedimento, il dato che balza all’occhio in senso negativo è il numero esiguo di deputati che hanno partecipato alla votazione finale, pari a 379 in tutto. Il decreto è dunque stato approvato con soli 280 voti favorevoli e 96 contrari.
E’ evidente che, in questo caso, le critiche maggiori sono da rivolgere ai gruppi di opposizione. Infatti pur volendo considerare tutti presenti i 20 deputati della Lega, che ha dichiarato di non partecipare al voto per protesta, tra le file dell’opposizione si contano ben 110 assenze, cifra che corrisponde quasi alla metà del numero totale di deputati dell’opposizione, pari a 226.
La minoranza, in quanto tale, non ha i numeri per bloccare un provvedimento, ma il suo compito istituzionale è quello di rendere dura la vita alla maggioranza, il che significa anche costringerla ad essere presente in aula in forze. Se il 50% dell’opposizione al momento della votazione finale di un decreto, che pure è stato fortemente criticato, non si presenta in aula, perché si vota di venerdì, non ci si può lamentare se la maggioranza si limiti ad assicurare la presenza di soli 280 deputati, magari molti dei quali di Roma e regioni limitrofe, liberando gli altri e dando loro semaforo verde per correre ai treni e all’aeroporto.
Quello che l’opposizione dovrebbe sapere, e l’opinione pubblica iniziare a capire, è che una critica perde di credibilità se ci si limita alle parole e non la si suffraga con un voto, anche un semplice voto di testimonianza. Perché le parole e i fatti, da che mondo e mondo sono cose diverse.  

martedì 17 febbraio 2015

SULLE FARMACIE AVEVAMO VISTO GIUSTO, POLEMICA IN COMMISSIONE



Sulle criticità dell’emendamento sulla vendita delle farmacie, di cui ci siamo occupati nel post di ieri, avevamo visto giusto, come dimostra il fatto che, nel corso della seduta delle commissioni I e V, Anna Margherita Miotto del Pd ha sollevato la questione con gli stessi temi che avevamo sollevato noi. La deputata Miotto ha criticato l’emendamento presentato dal relatore Marchi, sempre del Pd, e dal relatore Sisto, mettendo a verbale le seguenti argomentazioni “contesta la ratio dell'emendamento 7.55 dei relatori, in quanto esso è volto a stabilire non già una specifica proroga di termini legislativi bensì la sospensione dell'efficacia, fino al 31 dicembre 2016, delle disposizioni di cui all'articolo 12 della legge n. 475 del 1968 relative al servizio farmaceutico. Fa presente che tale emendamento prevede, in particolare, il trasferimento della titolarità delle farmacie a soggetti non in possesso dei requisiti prescritti dalla citata legge, tra i quali risulta anche l'idoneità conseguita tramite concorso, determinando pertanto una palese iniquità ed aprendo la strada a fenomeni di natura speculativa. Ricorda, inoltre, che, essendo tuttora in via di svolgimento un concorso straordinario per l'assegnazione di oltre 2.000 nuove sedi, l'eventuale approvazione dell'emendamento 7.55 dei relatori inevitabilmente darebbe luogo alla presentazione di un numero cospicuo di ricorsi”.
A fronte di queste obiezioni, però, l’emendamento non è stato ritirato ma riformulato prevedendo che la sospensione della normativa vigente in tema di cessione e acquisto di farmacie non si applicasse al concorso straordinario in fase di svolgimento per l’assegnazione di 2.000 nuove sedi, e in tale forma è stato approvato.

lunedì 16 febbraio 2015

LO STRANO EMENDAMENTO LAST MINUTE AL MILLEPROROGHE SULLE FARMACIE



Il Milleproroghe questa sera conclude il suo iter in commissione alla Camera, per approdare domani in aula, ma lo fa con una serie di emendamenti last minute depositati dai relatori e dal governo.
Tra questi ce n’è uno dei relatori, l’emendamento n. 7.55, che per il contenuto lascia perplessi. L’emendamento stabilisce che, dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto, verrà sospesa fino al 31 dicembre 2016 l’attuale norma che regola il trasferimento della titolarità delle farmacie. Oggi l’articolo 12 della legge 475 del 1968 stabilisce tutta una serie di criteri per la cessione e l’acquisto delle farmacia. Con l’emendamento dei relatori si propone che per due anni valga un unico criterio quello della semplice iscrizione all’albo dei farmacisti.
Al di la del merito della norma proposta, quello che in primo luogo stupisce è la natura dell’emendamento che da un punto di vista tecnico dovrebbe essere considerato inammissibile. Gli unici emendamenti ammissibili al Milleproroghe, infatti sono disposizioni che prorogano termini. In questo caso non si procede ad alcuna proroga, ma si sospende per due anni una norma vigente.
Si dirà che l’emendamento in questione potrebbe essere letto come una sorta di liberalizzazione per quanto riguarda la cessione e l’acquisto di farmacie, ma non è questo il punto, perché se si vuole liberalizzare il settore non è il mille proroghe lo strumento corretto e soprattutto non si capisce perché non si interviene con una norma strutturale invece che con una disposizione a tempo.
Anche nel merito della liberalizzazione proposta, poi ci sarebbe da discutere, perché la normativa vigente prevede  tutta una serie di condizioni che appaiono più condivisibili e che sono volte anche ad evitare speculazioni e prestanome. Si può citare ad esempio il comma che prevede che la cessione della titolarità di una farmacia per essere valida, deve essere accompagnata anche alla cessione dell’azienda commerciale che vi è connessa. Oppure si può citare il comma che prevede che il trasferimento di una farmacia può avvenire solo a favore di un farmacista iscritto all’albo e che abbia conseguito l’idoneità e abbia almeno due anni di pratica professionale certificata.
Se fosse approvato l’emendamento dei relatori, questi ed altri requisiti, verrebbero sospesi per due anni.

venerdì 13 febbraio 2015

L'ESITO PEGGIORE SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE



L’esame della legge di riforma costituzionale alla Camera è giunta, per il momento, al punto peggiore al quale si poteva arrivare con i gruppi di opposizione che abbandonano l’aula per protesta nei confronti della maggioranza.
Le avvisaglie che si potesse arrivare a questo punto si erano palesate nel corso delle giornate di martedì, mercoledì e giovedi, attraverso una serie di decisioni regolamentari-procedurali legittime, ma che allo stesso tempo rappresentavano un’oggettiva forzatura, dalla decisione, poi revocata, di non concedere tempi aggiuntivi ai gruppi che avevano terminato il loro tempo, alla decisione di procedere con la seduta fiume.
Due risse, una tra NCD e Lega ed una tra Pd e Sel, e le intemperanze continue che hanno contraddistinto le sedute degli ultimi quattro giorni segnalavano un nervosismo oltre i livelli di guardia sia tra i ranghi della maggioranza, sia tra quelli dell’opposizione.
Certamente le opposizioni hanno attuato una condotta ostruzionistica attraverso un uso anomalo e abnorme dell’articolo 86, comma 4, del regolamento. Ma da parte della maggioranza c’è stato un irrigidimento eccessivo nel voler porre un limite temporale perentorio per la chiusura dell’esame di un provvedimento che non è un decreto legge ma una riforma, ampia e rilevante della Costituzione.
Probabilmente tutto questo è la conseguenza di un dato politico ben più importante che consiste nel fatto che il quadro con cui la riforma costituzionale è stata avviata è radicalmente mutato a seguito della rottura del patto tra Pd e Forza Italia.
Lo scenario che si profila è quello che caratterizzò la riforma costituzionale del titolo V del 2001, una riforma della sola maggioranza.  In questo senso la questione non riguarda più il merito del contenuto della riforma costituzionale, che per molti versi è apprezzabile e necessaria, ma se sia opportuno effettuare una modifica così rilevante della nostra carta con i voti della sola maggioranza che, di fatto, consiste nel solo Pd, considerata l’esiguità numerica in parlamento e ancora di più nei consensi al di fuori del parlamento, delle altre forze di maggioranza.