mercoledì 26 giugno 2013

IL PD HA PRESENTATO 6 PROPOSTE DI LEGGE DIVERSE SULLA CITTADINANZA



Sei proposte di legge diverse sullo stesso tema presentate da parte di esponenti di uno stesso partito sono un po’ troppe e denotano o confusione o voglia di protagonismo, magari alla luce della divisione interna tra correnti. Il partito in questione è ovviamente il Pd, e il tema oggetto delle proposte di legge è niente meno che la nuova normativa sulla cittadinanza, della quale i democratici hanno fatto una sorta di vessillo politico.
E’ per questo che alla vigilia dell’inizio dell’esame in commissione (inzia domani in commissione affari costituzionali) trovare tutte queste proposte di legge dalla sponda democrat sorprende non poco. A quella ufficiale a prima firma Bersani, Kyenge, Speranza più un quarantina di deputati, seguono le pdl Bressa, Gozi, Pes ed altri, Zampa, Vaccaro. I contenuti delle proposte di legge sono più o meno simili ampliando l’attuale normativa a vantaggio di un principio di uno ius soli temperato da alcune condizioni (blande) e ad anche del principio dello Ius culturae.
Tecnicamente le più complete e organiche sono le proposte Bressa (a.c. 273) e Gozi (a.c. 707) che riscrivono completamente , novellandola in alcune parti, la normativa dettata dalla legge 91 del 1992. L’abbinamento di proposte di legge di altri gruppi e l’assenza di un testo governativo farà in modo che la Commissione affari costituzionali procederà a dar vita ad un nuovo testo unificato, invece di individuare un testo base, togliendo così d’impaccio il Pd .
Comunque la domanda resta, ma che senso ha presentare tanti disegni di legge da parte di uno stesso partito, quando il contenuto di questi testi è anche abbastanza omogeneo?

martedì 25 giugno 2013

GRIMOLDI: SENATO SI SBRIGHI SU DECRETO DEL FARE. MA IL PROVVEDIMENTO E' ALLA CAMERA


La foga oratoria, o la voglia di piazzare all’interno di un intervento politico molto sentito una frase a effetto che sembra starci come il cacio sui maccheroni, a volte possono giocare brutti scherzi, facendo incorrere l’oratore appassionato in una gaffes. E’ quanto accaduto al deputato leghista Paolo Grimoldi nel corso della dichiarazione di voto finale sul decreto emergenze.
L’esame di questo provvedimento è stato molto travagliato perché l’ostruzionismo attuato dal movimento 5 stelle ha costretto il governo Letta a porre la sua prima fiducia. La protesta del 5 stelle, a cui ha dato manforte anche la Lega, nasce dal fatto che, dopo essere stato trattenuto per molte settimane al Senato, il decreto è stato dichiarato inemendabile dalla Camera per non metterne a rischio la conversione.
Così a Grimoldi in chiusura del suo intervento non è parso vero di lanciare un avvertimento al governo in merito all’iter da seguire sul decreto del Fare:
E chiudo, signor Presidente, sottolineando la storia di questo decreto-legge che spero le insegni qualcosa e mi riferisco soprattutto al Ministro Franceschini: lei è Ministro per i rapporti con il Parlamento, se non segue l'iter di un decreto che Ministro è scusi, cosa fa ? Nel decreto del fare io la invito a cercare di seguire il provvedimento, a non mandarcelo qua qualche ora prima della scadenza. E invito, tra l'altro, oltre che lei, anche Il Sole 24 Ore, giornale assolutamente autorevole, che qualche tempo fa è uscito con un bel titolo sulle emergenze in Italia con su scritto «fate presto», magari ogni tanto a mettere in prima pagina «fai presto Franceschini, svegliati» perché è rimasto due mesi al Senato quel decreto e vorremmo evitare che si replicasse con il decreto del fare”.
Il decreto in effetti era stato varato dal consiglio dei Ministri una settimana prima, il 15 giugno, e non avendolo visto arrivare alla Camera, Grimoldi pensava bene fosse stato depositato al Senato. E invece no. Per uno scherzo del destino, proprio mentre Grimoldi stava parlando il decreto del fare compariva in gazzetta ufficiale, e siamo a venerdi 21 giugno. E poiché il destino si accanisce dove pensate sia stato depositato in prima lettura il decreto lunedi 24 giugno? Alla Camera ovviamente. Così l’appello di Grimoldi a fare presto come un boomerang si rivolge proprio nei confronti di se stesso e dei suoi colleghi. La Camera dovrà fare presto per consentire al Senato di apportare eventuali modifiche al nuovo decreto.

giovedì 20 giugno 2013

IL PRESIDENTE E' FUORI STANZA STA FACENDO IL SEGRETARIO DI PARTITO



La commissione Attività produttive della Camera storicamente, ed anche per le competenze che le sono assegnate, non ha mai lavorato tantissimo e comunque meno di molte altre commissioni permanenti. Forse è per questo che i suoi membri trovano normale che essa sia presieduta da un presidente assente.
Guglielmo Epifani né è stato eletto presidente il 7 maggio scorso. Pochi giorni dopo la sorte ha voluto che divenisse segretario del Pd, col compito non facile di traghettare il partito al congresso. Da quel momento lo scranno più alto della decima commissione è rimasto molto sovente vuoto, o meglio ceduto ai vice Abbrignani e Crippa.
Se si vanno a scorrere i resoconti in cui è riportato chi presiede, e soprattutto quelli delle sedute in cui si vota, dalla seduta dal sette maggio ad oggi si vede che Epifani risulta presente e svolge le proprie funzioni nella sola seduta del 5 giugno per quanto riguarda il mese corrente. A maggio, oltre a quella in cui è stato eletto, Epifani presiede la seduta dell’8 maggio, anche se va detto che per il resto del mese la Commissione non ha mai lavorato ne in consultiva, ne in referente, ma si è dedicata solo a pareri e uffici di presidenza.
La tendenza all’assenteismo del presidente Epifani sembra comunque ben delineata, anche perché il ruolo di segretario Pd lascia assai poco spazio per altre attività di natura istituzionale. Ma il punto è proprio qui, perché Epifani non rinuncia alla presidenza della Commissione X che materialmente non riesce ad esercitare? Ci auguriamo che non sia per mantenere uffici e segreterie messe a disposizione e pagate dalla Camera che torneranno utili e comode quando non sarà più segretario del Pd.

mercoledì 19 giugno 2013

M5S CHIEDE SPOSENSIONE RATA RIMBORSI ELETTORALI 2013, I MEDIA LO IGNORANO


Dopo averne parlato per mesi e soffiato sul fuoco dell’indignazione popolare, i media sembrano aver snobbato completamente l’inizio alla camera dell’iter di riforma del finanziamento pubblico. E' un peccato perché fin dalla prima seduta della commissione affari costituzionali sono emersi aspetti interessanti, come quello, che forse sarebbe opportuno segnalare all’opinione pubblica, relativo al fatto che la rata di rimborsi per il 2013, pari a poco più di 91 milioni di euro, verrà comunque percepita per intero dai partiti. La legge infatti (l.157/199 art.1 comma 6) prevede che i rimborsi elettorali siano erogati entro il 31 luglio di ogni anno.
E’ proprio per questo che il M5S con un’inattesa accortezza politico-parlamentare, ha chiesto con uno dei suoi rappresentanti in commissione, Danilo Toninelli, che il governo intervenga con un decreto per sospendere l’erogazione dei rimborsi 2013, in attesa che il Parlamento abbia approvato la nuova legge di riforma. (Vedi resoconto di seguito riportato)
Il Ministro per le Riforme Quagliariello, presente ieri in commissione è rimasto spiazzato dalla richiesta mirata che, evidentemente, non si aspettava e che potrebbe mettere il governo in difficoltà. Per il momento non si è pronunciato e, almeno per ora, i media, sempre quelli che hanno portato avanti la campagna contro i soldi pubblici ai partiti, gli hanno dato una mano, tacendo completamente sulla richiesta avanzata dai cinque stelle che, però, a quanto risulta a questo blog, stanno già preparando altre iniziative parlamentari sulla questione sul quale sarà difficile svicolare.

martedì 18 giugno 2013

PARTE LA RIFORMA DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO, COSA DICE IL DDL DEL GOVERNO


Oggi in commissiona affari costituzionali è iniziato l'esame delle proposte di riforma del finanziamento pubblico ai partiti. Ecco cosa propone il testo presentato dal governo Letta.
La proposta di legge del governo si compone di due parti. Una riguarda il finanziamento dei partiti, dei movimenti e delle formazioni politiche (art 1; 8-14), l’altra detta una serie di norme volte a favorire e realizzare la democrazia interna ai partiti, la trasparenza e i controlli sulla gestione degli stessi.
Per quanto riguarda il finanziamento pubblico il combinato disposto degli articoli 1 e 14 procede sia all’abolizione sia del sistema dei rimborsi elettorali, sia del sistema del cofinanziamento, come introdotto dalla legge 96/2012, ma lo fa in maniera estremamente graduale, al punto che la vera è propria eliminazione di queste due forme di finanziamento entrerà a regime solo nel 2017 (il quarto esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge). Inutile dire che se l’approvazione della legge invece che nel 2013 avviene nel 2014 o dopo, tutto il meccanismo slitta di un anno o più. Il testo prevede all’articolo 14 che per il 2013 i rimborsi elettorali e il cofinanziamento verranno percepiti per intero dagli aventi diritto (facendo un calcolo a mente e senza i dati che la tesoreria della Camera può fornire, lo stato erogherà in totale per rimborsi e confinanziamento nel 2013 circa 104 milioni di euro). Nel 2014 si applica una riduzione del 40% al finanziamento spettante, nel 2015 una riduzione del 50% e nel 2016 una riduzione del 60%.
In sostituzione del sistema di finanziamento pubblico la legge individua 2 modalità di finanziamento per i partiti. La prima consiste nei contributi volontari con un regime fiscale agevolato che i cittadini erogano ai partiti (art.9) Per accedere a questa forma di finanziamento e alle altre i partiti debbono avere determinate caratteristiche individuate dall’articolo 8 e presentare una domanda. In primo luogo i partiti debbono essere iscritti nel registro istituito dall’articolo 4 (di cui si dirà di seguito), quindi possono accedere ai contributi privati volontari i partiti o movimenti che nell’ultima consultazione elettorale abbiano eletto almeno un candidato alla Camera, al Senato, in uno dei consigli Regionali o al Parlamento europeo, oppure abbiano presentato nelle medesime elezioni candidati in almeno 3 circoscrizioni alla Camera, in almeno tre regioni al Senato, in un consiglio regionale o in almeno una delle circoscrizioni del parlamento europeo. Per i contributi volontari ai partiti la legge prevede una detrazione dall’Irpef pari al 52% per importi tra 50 e 5.000 euro annui, pari al 26% per importi compresi tra 5.001 e 20.000 euro annui ( la normativa vigente prevede dal 2014 una detrazione del 26% sugli importi da 50 a 10.000 euro Dunque la norma aumenta le detrazioni fiscali previste per i contributi ai partiti). Sempre l’articolo 9 prevede la possibilità di detrarre dall’Irpef il 52% delle spese sostenute per l’iscrizione a scuole o corsi di formazione politica promossi e organizzati dai partiti, fino ad un importo massimo di 500 euro annui. Infine sono previste detrazioni dall’Ires del 26% su importi compresi tra 50 e 100.000 euro annui versati da società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, enti privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali; Tutti questi soggetti per accedere al beneficio fiscale non debbono avere al loro in terno partecipazioni pubbliche e i loro titoli non debbono essere negoziati in mercati regolamentati italiani e esteri. (L’attuale normativa prevede una detrazione del 19% per importi da 51,65 a 103.291 euro, detrazione che però vale anche per le società partecipate dal pubblico). [In relazione a questo articolo sarebbe bene prevedere il divieto per le società o aziende che detengono concessioni pubbliche di poter effettuare contributi ai partiti]. Si segnala che queste agevolazioni entreranno in vigore dal 2014 andandosi a cumulare alla parte rimanente di finanziamento pubblico fino al 2017

lunedì 10 giugno 2013

L'ESAME DEL DL SU IMU E CIG ENTRA NEL VIVO


In questa settimana a Montecitorio entra nel vivo in commissione l’esame sul Decreto Legge numero 54, il primo provvedimento di rilievo varato dal governo Letta. I capisaldi di questo provvedimento sono costituiti dalla sospensione della prima rata dell’Imu (art. 1 e 2), dal Rifinanziamento della Cassa Integrazione in deroga e dei contratti di solidarietà (art. 4 commi 1-3) la proroga dei contratti precari della PA (art. 4 comma 4) e la proroga dei contratti degli sportelli unici dell’immigrazione (art. 4 comma 5).
Il provvedimento nel suo complesso non presenta aspetti di grande risalto negativo, allo stesso tempo sembra una sorta di dna del governo di larghe intese e della precarietà su cui poggia. La prima rata Imu infatti è sospesa, nelle more del tentativo di creare una nuova imposta comunale sui servizi che, al suo interno inglobi anche la Tares. Il limite temporale individuato dal decreto è quello del 31 agosto, sforato il quale scatta la clausola di garanzia prevista dall’articolo 2 del decreto, ovvero il pagamento della prima rata Imu entro il 16 settembre.
Poiché anche la semplice dilazione della rata Imu ha un costo non indifferente sulle casse già molto dissestate dei comuni, il decreto prevede un anticipo nei confronti degli enti locali da parte della tesoreria centrale dello stato fino al 50% degli incassi Imu ottenuti nel 2012 da ogni amministrazione comunale.Il rifinanziamento della Cig per il 2013 recato dalle norme previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 4 ammonta a circa 1 miliardo di euro. 250 milioni vengono sottratti al fondo per la decontribuzione dei premi di produttività, 246 milioni arrivano dai fondi per la formazione, infine altri 219 milioni arrivano utilizzando circa 9 milioni di sanzioni amministrative comminate dal garante per i consumatori, 100 milioni sono stornati dagli impegni di spesa previsti dal trattato di amicizia tra Italia e Libia ed ulteriori 100 milioni sono stornati dal fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale. Va detto che sulle coperture relative alle sanzioni del garante per i consumatori e quelle relative al trattato di amicizia con la Libia sussiste qualche perplessità sulla possibilità di un loro effettivo utilizzo, esistendo sulle prime una riserva di legge, e sui secondi impegni di spesa che comunque andranno onorati.
Per quanto riguarda il rifinanziamento dei contratti di solidarietà, la copertura è individuata destinando 57 milioni e 600 mila euro circa di somme impegnate per lo stesso fine e non ancora pagate.
Il decreto proroga fino al 31 dicembre 2013 i contratti a termine della PA in essere al 30 novembre 2012 e che superino il limite di 36 mesi comprensivo di proroghe e rinnovi. Su questa norma va sottolineato che se tra questi contratti ve ne sono alcuni che hanno già ottenuto una proroga precedente, per questi stessi maturerebbe il diritto all’assunzione a tempo indeterminato.
Altra proroga prevista dal decreto, sempre fino a dicembre 2013, è quella dei contratti dei lavoratori degli sportelli unici per l’immigrazione presenti nelle prefetture e nelle questure. L’onere di questa norma stimato in circa 10 milioni per il 2013 è coperto utilizzando le risorse del fondo destinato al sostegno delle vittime della mafia e dell’usura.
Il decreto all’articolo 3 prevede poi una norma più simbolica che altro, ovvero il divieto di cumulo tra lo stipendio di Ministro e sottosegretario con quello di parlamentare. I membri del governo che sono anche parlamentari, percepiranno solo lo stipendio da deputato o senatore e non più quello da ministro (50.204 euro) o da sottosegretario (41.719 euro) per un risparmio a regime di 2 milioni annui circa. Curiosità. Nella stesura della norma si sono scordati di citare la figura dei Vice Ministri (il cui stipendio è equiparato a quello di un sottosegretario), dimenticanza che verrà corretta sicuramente con un emendamento.

venerdì 7 giugno 2013

LA CAMERA DEI DEPUTATI VIOLA IL REGOLAMENTO... PER EVITARE POLEMICHE



La Camera dei deputati da più di un mese sta violando palesemente uno degli articoli del suo regolamento, e lo fa per evitare polemiche politiche che la maggioranza non è in grado né di risolvere, né di affrontare. L’articolo 5 stabilisce al comma 1 che i vice presidenti dell’assemblea di Montecitorio debbono essere 4. Da quando Maurizio Lupi ha assunto l’incarico di Ministro delle Infrastrutture questo disposto è disatteso.
La Presidente Boldrini fino ad oggi non ha convocato l’aula per l’elezione di un nuovo vice presidente, e tale integrazione non è prevista nel calendario dei lavori del mese di giugno. Il motivo è molto semplice, e questo blog lo ha già segnalato con largo anticipo con un post. La prassi vuole che i quattro vice presidenti siano espressione due della maggioranza e due dell’opposizione. Essendocene già due della maggioranza (Giachetti e Sereni) e uno solo dell’opposizione (Di Maio), il quarto vice toccherebbe all’opposizione.
Questa soluzione, però, scatenerebbe le ire del Pdl che non solo esprimeva il vice presidente che ha lasciato la sede vacante, ma è anche oggettivamente sottorappresentato in ufficio di presidenza con il solo questore Fontana. Dunque l’elezione del quarto vicepresidente comporterebbe sicuramente polemiche qualunque soluzione venisse adottata. Se la prassi venisse rispetta, e dunque il vice andasse all’opposizione con i voti o con l’astensione comunque determinante del Pd la maggioranza entrerebbe in tensione. Se il vice fosse assegnato al Pdl, le polemiche coinvolgerebbero sempre il Pd, che ha preferito il Pdl ad uno dei partiti dell’opposizione, ma anche la Presidente della Camera che non è riuscita a trovare le intese necessarie tra i gruppi e soprattutto non è riuscita a rispettare la prassi.
La soluzione che per il momento si adotta è quella dello struzzo. Non è un segno di forza e soprattutto la vittima è l’articolo 5 del regolamento che non viene attuato dolosamente.

martedì 4 giugno 2013

NESSUNA MODIFICA ALLE PENSIONI DEI POLIZIOTTI



All’esame delle commissioni della Camera c’è la bozza di un Dpr che aveva preoccupato non poco i lavoratori del comparto sicurezza, perché a questo provvedimento era affidato il compito di armonizzare il sistema pensionistico di Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Vigili del fuoco, alle norme introdotte dalla riforma Fornero. Il provvedimento prevede anche per i lavoratori del comparto sicurezza l’introduzione del sistema delle finestre per la pensione di vecchiaia, ritardando di fatto l’effettiva andata in pensione di 1 anno e tre mesi fino al 2015 e successivamente di 1 anno e otto mesi dal 2016. Inoltre per le pensioni di anzianità si prevede una penalizzazione in termini percentuali per ogni anno di anticipo rispetto ai 58 anni.
Al di là del contenuto il provvedimento, almeno per il momento non avrà seguito. Infatti il relatore in commissione affari costituzionali Emanuele Fiano ne ha già decretato la sorte negativa, bocciando non i contenuti ma la natura del provvedimento. La sostanza della raffinata relazione svolta da Fiano sta nel fatto che la modifica del sistema pensionistico del comparto sicurezza, per uniformarlo alla riforma effettuata dal ministro Fornero, non può essere realizzata attraverso un regolamento, quale il Dpr è, ma solo attraverso una legge ordinaria. Poiché i rilievi che la commissione affari costituzionali formulerà saranno vincolanti, ciò significa che per il momento le pensioni di poliziotti e carabinieri resteranno come sono, almeno in attesa che il governo vari un provvedimento di legge.
Sintesi dei passaggi più significativi della relazione Fiano
In relazione allo strumento normativo utilizzato per la disciplina descritta è opportuno ricordare che l'articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988 dispone che: «Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che si pronunciano entro trenta giorni dalla richiesta, sono emanati i regolamenti per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme regolamentari».